Può un uomo solo fermare una colonna di carri armati? Siamo a Pechino ed è il 5 giugno 1989. Sono i giorni più caldi della più grande protesta scoppiata in Cina dalla Rivoluzione del 1949. La repressione governativa nei confronti di studenti, operai e intellettuali che si oppongono al regime è brutale e arriverà a causare centinaia, forse migliaia di morti in quello che è stato l’anno della crisi globale del blocco comunista mondiale.

Nel viale Changan, alle porte della gigantesca piazza Tienanmen, la tensione è alle stelle. All’improvviso, l’attenzione dei fotogiornalisti presenti si sposta su una scena ai limiti del reale: un civile vestito con una camicia bianca si ferma di fronte a una fila di quattro cingolati, bloccandone la marcia. I carri armati si fermano per qualche minuto, provano a girare attorno al rivoltoso, che per tutta risposta li blocca nuovamente facendo resistenza passiva. Il fotografo statunitense Jeff Widener vede tutto in diretta, prende la sua macchina fotografica, riesce a catturare l’immagine e la consegna all’eternità.

Tank Man, © Jeff Widener, Pechino 1989

Widener è appostato all’interno di una camera al sesto piano di un albergo che si affaccia sulla piazza, un’ottima posizione per raccontare e documentare ciò che sta accadendo nei giorni più convulsi della capitale cinese. Pur consapevole del rischio di essere scoperto dalle autorità e di essere arrestato riesce, con l’aiuto di un giovane studente americano, a consegnare il rullino con le fotografie della protesta all’Associated Press.

L’immagine fa rapidamente il giro del mondo e diventa l’icona delle proteste popolari in Cina, tanto da essere inserita dal Time nella lista delle cento fotografie più rilevanti di tutti i tempi. Eppure, se ognuno di noi ha visto questa immagine almeno una volta nella vita ed è capace di associarla immediatamente agli eventi del 1989, in Cina la tendenza è diametralmente opposta.

Il governo non permette in nessun modo che la fotografia di Tank Man circoli nella Repubblica Popolare, mettendo in atto una censura totale con l’obiettivo di cancellare dalla memoria nazionale il ricordo delle tragiche sommosse di Pechino. Oggi, in Cina, solo una esigua minoranza della popolazione è in grado di riconoscere la fotografia e di ricollegarla alla protesta di piazza Tienanmen.

A conferma di questo articolato sistema di controllo Rutger van der Hoeven, ricercatore dell’univestià di Utrecht, ha condotto un’indagine su un campione di 239 cittadini cinesi a cui ha mostrato lo scatto: solo il 37 per cento di loro ha riconosciuto la fotografia di Widener e solo un intervistato su sei è stato in grado di associare l’immagine alle proteste di piazza Tienanmen.

Una sola fotografia che immortala il gesto di un solo uomo è stata capace di mettere in seria difficoltà un intero sistema governativo, che ha dovuto costruire un imponente e complesso sistema di censura per evitare di macchiare l’immagine e la credibilità della Repubblica. Questo è un chiaro esempio di come la fotografia sia in grado di farsi carico di un messaggio sociale: documentare, raccontare e testimoniare quelle che sono le ingiusitizie e le disuguaglianze nel mondo per fare in modo che non si ripetano più.