Ringraziamo Simone e tutto lo staff di Physical Pub per la bellissima (e divertentissima) intervista. Seguiteli!

Nei vari ambiti in cui si combatté la guerra fredda, sicuramente la corsa allo spazio fu la più spettacolare.

USA e URSS si fronteggiarono in un conflitto di prestazione, in cui a vincere era chi arrivava più lontano, per primo e il più velocemente possibile. Più che conflitto tra supernazioni può sembrare una sfida tra ragazzini delle medie.
Nella realtà, il primo ad arrivare avrebbe avuto più probabilità di creare delle stazioni belliche lunari, inviare satelliti nello spazio e dimostrare il proprio valore alla propria popolazione e a tutto il mondo.

La gara fu inaugurata dai russi con il lancio del primo satellite ad abbandonare il suolo terrestre: lo Sputnik 1, di fabbricazione sovietica, il 4 ottobre 1957.

La capsula Vostok 1, la prima a uscire dall’orbita planetaria per entrare nello spazio.

Così come sovietici furono il primo animale in orbita, la famosa cagnolina Laika il 3 novembre 1957 e il primo uomo nello spazio, Yuri Gagarin, con la missione Vostok 1 il 12 aprile 1961.

La cagnolina Laika – Sputnik / Alamy
Yuri Gagarin, primo uomo a solcare lo spazio – Arto Jousi

Strabiliante, vero?

Proprio per questa supremazia sovietica il 4 giugno 1961, in occasione dell’incontro tra il presidente Kennedy e Nikita Khrushchev a Vienna in cui discussero della spartizione della città di Berlino, del Laos e dell’invasione della baia dei porci, il presidente americano chiese a quello sovietico di avviare una collaborazione per quanto riguardava l’esplorazione dello spazio.

Il presidente sovietico Khruschev e il presidente americano Kennedy si incontrano all’ambasciata americana a Vienna il 4 giugno 1961.
Fonte: U. S. Dept. of State photograph in the John Fitzgerald Kennedy Library, Boston.

La risposta secca e inequivocabile fu no.

Forse questo diniego fu la prima, grande fortuna per ogni uomo che sognava di volare nello spazio.
JFK decise che la questione spaziale non era più solo un argomento scientifico ma era un fondamentale obiettivo della politica americana: nel suo famoso “Moon Speech” alla Rice University affermò che l’America non sarebbe andata sulla luna perché era facile, ma proprio perché era difficile. La corsa allo spazio doveva essere condotta dai campioni nell’esportazione della democrazia e così fecero. E lo fecero con un investimento di capitale, ingegneristico e umano che non ha precedenti nella storia della ricerca scientifica.

Il famoso “moon speech” con cui John Fitzgerald Kennedy sancì l’ingresso degli USA nella corsa allo spazio e la ferma determinazione di arrivare sulla luna.

Nel 1962 gli americani eguagliarono i russi nel lancio del primo uomo nello spazio: John Glenn che faceva parte dei Mercury Seven, i sette favolosi astronauti scelti dalla NASA. Così famosi da essere un mito agli occhi dei milioni di bambini americani.

I fantastici “Mercury Seven”, i primi sette astronauti americani: Alan Bartlett Shepard Jr., Virgil Ivan (Gus) Grissom, John Herschel Glenn Jr, Malcolm Scott Carpenter, Walter Marty (Wally) Schirra Jr, Leroy Gordon Cooper Jr. e Donald Kent (Deke) Slayton

E infine il 21 luglio 1969 gli americani toccarono il suolo lunare con la Missione Apollo 11, Neil Armstrong fece la sua famosa camminata lunare e il modulo lunare Apollo, meglio conosciuto come LEM venne lasciato sul nostro satellite con la famosa scritta “Noi veniamo in pace per tutta l’umanità”.

Il modulo lunare apollo (LEM) e la targa incisa sopra, rimasta per ogni futuro visitatore del suolo lunare.
Fonte: NASA

Una bella frase da lasciare come ricordo sulla luna ma nasconde un’altra verità dolceamara: gli americani avevano infatti portato avanti e successivamente accantonato il progetto A119 ovvero il tentativo di installare una testata nucleare sulla luna. Perché non dimentichiamoci che nel frattempo queste due superpotenze possedevano entrambe progetti nucleari bellici.

La storia però ci racconta che mentre gli americani stavano definitivamente superando i sovietici e vincendo la corsa allo spazio, ecco accadere qualcosa di incredibile. Mentre Apollo 11 era in orbita in traiettoria cislunare, vi era un’altra missione ad orbitare intorno alla luna: la sovietica Luna 15. Quando scoprirono che gli americani stavano per allunare, i russi decisero di collaborare ed inviarono alla NASA tutte le coordinate necessarie e le frequenze con cui comunicavano per non essere d’intralcio alla missione americana.

Cosa stava cambiando nella corsa allo spazio?

È forse solo un aneddoto, ma esprime bene come non vi era più solo conflitto e competizione ma iniziava ad esserci collaborazione, per quanto allo scopo di non intralciarsi.

Fu forse il primo segnale di distensione tra le due superpotenze. Un primo disgelo che culminerà nel 1989 nella caduta del Muro di Berlino e nella fine della guerra fredda.

Ma perché questo gesto di apertura da parte dei sovietici? Non è chiara forse la portata dell’allunaggio: se raggiungere la stazione spaziale internazionale (ISS) può essere paragonato a percorrere la Milano-Bologna, arrivare sul suolo lunare è come compiere cinque volte il giro della terra. Arrivare sulla luna è così difficile che le missioni vennero interrotte e il prossimo allunaggio è programmato per il 2024. È davvero tanto tempo che la nostra compagna notturna non riceve visite umane.

La costa atlantica americana vista dalla ISS, la stazione spaziale internazionale

Ogni missione che veniva lanciata richiedeva fondi, ingegneri, tecnici e soprattutto uomini disposti a rischiare la vita: il primo uomo lanciato nello spazio dagli americani, Alan Sheppard nel 1961 fu lanciato a bordo di una navicella che aveva probabilità di esplodere 6 volte su 10.
Più che una missione spaziale sembra una roulette russa truccata.

Ma la collaborazione più stupefacente avvenne nel 1975: l’Apollo-Soyuz.

Locandina commemorativa della missione spaziale congiunta Apollo-Soyuz del 1975

Celebrata come evento nazionale, seppur non priva di competizione e di rivalità, questa prima missione congiunta americana-russa vide definitivamente crollare l’idea che la corsa allo spazio potesse essere una questione nazionale per diventare una missione umanitaria e mondiale.

Per quanto ad oggi diverse superpotenze cerchino di creare le proprie stazioni spaziali e le proprie missioni, la recente esperienza della Chabdrayaan 2 indiana in cui il lander si è schiantato sulla luna e la centrale ha perso il contatto in diretta mondiale mostra quanto poco paghi il nazionalismo nella questione spaziale.

Lo “smacco” mondiale a cui è andato incontro la missione indiana alla perdita di contatto con il loro lander, schiantatosi sulla luna. Il silenzio che riempie il video spiega bene la desolazione degli scienziati e dei tecnici.

L’importanza della collaborazione è dimostrata dall’esperienza della ISS, dall’utilizzo del cosmodromo di Bajkonur in Kazakistan come sede principale di lancio sia degli europei, dei russi e degli americani. Rampa di lancio famosa grazie alla missione Vostok 1 con cui Gagarin venne lanciato nello spazio.

Questo impegno congiunto, l’unione delle migliori menti mondiali sta portando l’umanità al passo di un confine mai superato prima. Come affermato da Tommaso Ghidini, capo della divisione di strutture, meccanismi e materiali all’ESA: “il primo uomo che toccherà il suolo di Marte è già nato e al momento ha 5 anni”.

Il pianeta Marte

Questo clima nell’ambiente scientifico e ingegneristico spaziale non può che essere incoraggiante rispetto ai penosi continui conflitti terrestri.

La corsa allo spazio si è trasformata da corsa agli armamenti e possibile terreno di esperimenti bellici nucleari in collaborazione internazionale. È stato il primo disgelo del conflitto più pericolo per l’intera umanità: il gesto più bello che rimane a raccontarcelo è la missione Apollo 15, in cui gli americani hanno portato sulla luna una targa “Fallen Astronauts” con i nomi di tutte le persone morte nel tentativo di raggiungere il suolo lunare, tra i cui nomi brillano quelli dei sovietici.

La scultura “Fallen Astronauts” e la sua targa. Presente sul suolo lunare, è considerata la prima forma d’arte sulla Luna. La targa misura 8,5 cm e riporta il nome dei 14 astronauti morti fino al 1971 nelle missioni spaziali. Lasciata da David Scott con la missione Apollo 15.
Fonte: NASA

Quello che ci rimane oggi è una profonda consapevolezza che solo collaborando possiamo raggiungere il sogno di milioni di bambini e adulti da sempre affascinati dalle profondità dell’universo: trasformarci da specie planetaria a specie interplanetaria.

E forse questa sfida possiamo vincerla tutti insieme.