A cura di Francesco Chirico

I ghiacciai coprono circa il 10% delle terre emerse. Eppure nell’immaginario collettivo rimangono oggetti misteriosi, masse di ghiaccio immobili che negli ultimi anni stanno lentamente arretrando. C’è molta confusione riguardo al movimento dei ghiacciai: scendono verso valle, ma allo stesso tempo si ritirano verso monte, finché il clima non li farà scomparire del tutto. Facciamo chiarezza nel loro modo di muoversi e modellarsi negli anni.

I ghiacciai non sono soprannaturali, quindi vengono trascinati inesorabilmente verso il basso dalla forza di gravità, più o meno velocemente a seconda di una delicata combinazione di fattori. Come fanno quindi a ritirarsi? Non possono certo risalire i pendii. Semplicemente si fonde più ghiaccio nella zona più bassa (ablazione) di quanto se ne formi alle alte quote (accumulo). La distinzione tra le due zone (ELA – Equilibrium Line Altitude) è molto importante, ed è lei che sta risalendo i pendii a causa del Climate Change! Se raggiunge il limite superiore del ghiacciaio, fine, game over, tutto il ghiacciaio fonde.

Fatta questa breve introduzione teorica (e approssimativa), veniamo alle cose interessanti.
Per osservare i ghiacciai muoversi, bisogna pensare più lentamente, oppure velocizzare le immagini, con un time-lapse per esempio.

Solo aumentando la velocità si riesce ad apprezzare il movimento di un ghiacciaio. Khumbu Icefall (Everest). [©EIS – Extreme Ice Survey]

Ice-fall doctors: i guardiani del ghiacciaio

C’è chi di questa lenta discesa del ghiaccio verso valle ne fa la professione di una vita, anche se spesso è una scelta obbligata. Sull’Everest, la Khumbu Icefall si muove di più di 1 metro al giorno, e gli alpinisti la attraversano ogni giorno in alta stagione per raggiungere i campi alti.

In alta stagione, è continuo il flusso di alpinisti che attraversano i crepacci della Khumbu Icefall verso i campi alti del Monte Everest. Si sfruttano le ore notturne perché il rischio di crolli è minimo.
Intervento di recupero da crepaccio. [©Soccorso Alpino Valdostano]


I crepacci ed i seracchi sono causati dalla rottura del ghiaccio: scendendo verso valle, il ghiacciaio si trova su pendenze sempre diverse, e deve adattarsi di conseguenza.
Quando il ghiaccio supera il suo limite di rottura, forma delle crepe (
crepacci) o dei grossi risalti di ghiaccio (seracchi).
I crepacci sono spesso coperti di neve, attraversare un ghiaccio slegati può essere molto pericoloso.



Con questa velocità, i crepacci ed i seracchi cambiano ogni giorno.
Solo gli Sherpa più esperti conoscono così bene l’Icefall da riuscire a creare nuovi percorsi ogni giorno. Tra chi sopravvive al duro lavoro di portatore di alta quota (“Sherpa” è il nome della popolazione, non del mestiere), i più esperti si incaricano di sistemare le scale ed i ponti, per far sì che gli alpinisti passino velocemente e senza rischi. Per capire cosa significhi, l’unico modo è affidarsi alle immagini.

Icefall Doctors impegnati ad attrezzare la Khumbu Icefall per superare seracchi (sinistra) e crepacci (destra).
[sx: ©GlacierWorks / David Breashears; dx: ©The Himalayan Times]

Rimanere bloccati in quel labirinto di ghiaccio ad orari non consoni può essere molto pericoloso: ci sono continui crolli, freddo, luce accecante, valanghe.. Troppo spesso si dà per scontato il lavoro dei portatori, lavorano nell’ombra, ma è grazie a loro che la stagione Himalayana procede con il minimo dei rischi.

Quando la scienza è esplorazione: Chasing Ice

I movimenti dei ghiacciai sono veloci rispetto ai processi geologici, ma comunque troppo lenti per essere osservati ad occhio nudo. La mente umana li percepisce come fermi, a meno che non si assista a qualche crollo o a sordi “crack” tipici della rottura del ghiaccio. 

Sono i primi anni 2000, siamo ancora nella fase in cui la discussione mediatica era ancora incentrata sull’esistenza o meno dei cambiamenti climatici. Mediatica, perché quella scientifica era già data per chiusa: il Climate Change esiste per il 90% degli scienziati, e quasi tutto il restante 10% lavora per compagnie petrolifere o affini. 

James Balog inizia a rendersi conto che la scienza moderna è basata su modelli matematici e simulazioni al PC, e non è quella che sognava da bambino. Fa due conti, ottiene qualche sponsorizzazione (National Geographic e Nikon per esempio) e fonda l’EIS – Extreme Ice Survey. L’obiettivo è dare un volto al climate change, renderlo tangibile, chiudere anche il dibattito mediatico.

James Balog (sx) e il team di EIS – Extreme Ice Survey (dx) in azione in Groenlandia ed Alaska. [©EIS]

La fatica non è poca, il lavoro è duro e sempre al freddo. Con due collaboratori con meno anni sulle spalle e meno operazioni al ginocchio, nel giro di due anni mette in piedi una rete di telecamere fisse sui ghiacciai. Migliaia di immagini formano dei time-lapse spettacolari nei quali i ghiacciai prendono vita. Ne nascerà un film (Chasing Ice, ora anche su Netflix), estratti per i Ted Talks, e finalmente un volto di quel misterioso climate change.

C’è chi resiste, il Perito Moreno

Tra le prove che i negazionisti del Climate Change hanno portato a loro favore, c’è stato anche il fatto che “non è vero che tutti i ghiacciai si stanno ritirando”. Vero. Su 1400 ghiacciai osservati nello Yukon a partire dal 1958, 4 stanno avanzando (0,28%). 300 sono scomparsi del tutto, e quasi tutti i rimanenti si stanno ritirando [Chasing Ice, 2008].
Questo fa parte della variabilità di cui ogni fenomeno naturale è caratterizzato, e la tendenza sembra abbastanza chiara.

Tra i ghiacciai che resistono al climate change, il Perito Moreno è uno dei più studiati, soprattutto perché è magnifico, ma qualche motivazione per giustificare i mesi di ricerca la si trova facilmente. Capire come mai questa massa glaciale non ceda al climate change, aiuta anche a confutare le teorie che negano il cambiamento climatico.

La fronte del ghiacciaio Perito Moreno termina nel Lago Argentino. Se un fiocco di neve si deposita sulle sommità del ghiacciaio e supera la prima estate senza fondere, può impiegare anche 40 anni ad arrivare qui. [©Gorka Orexa]

Il Perito Moreno non è un ghiacciaio solitario, poiché fa parte del Campo de Hielo (o Patagonian Icefield) in Argentina, la più grande riserva idrica dell’emisfero australe. Le dimensioni sono assurde se comparate alle nostre Alpi: 259 km2 per 30 km di lunghezza. A piedi, senza ostacoli e dislivello, servirebbero 6 ore per attraversarlo!

Due sono le sue particolarità che lo rendono più unico che raro: la resistenza al climate change e la periodica formazione di un’enorme diga glaciale.
Non è un caso che sia stabile: l’aumento delle temperature incide anche su di lui, ma dato che l’area di accumulo (dove aumenta la massa glaciale) è pari al 70% dell’intero ghiacciaio, il climate change si trova di fronte ad un muro solido e difficile da abbattere! 
Inoltre, la ELA si trova in una zona molto ripida, quindi anche se sale di quota a causa dell’innalzamento delle temperature, le aree (accumulo e ablazione) rimangono pressoché invariate. Il problema di presenterà però quando la ELA riuscirà ad uscire da quel tratto ripido e si troverà su un vastissimo e dolce pendio, allora guadagnerà metri di giorno in giorno e il Perito Moreno inizierà a vacillare seriamente. 

Il fatto che sia stabile, non significa che sia fermo: l’intera massa glaciale scende a una velocità di circa 2 m al giorno, e la sua fronte avanza e arretra periodicamente. Dalla fronte vengono scaricati in acqua, tramite il fenomeno del calving, 824 mila m3 di ghiaccio al giorno, pari al volume di 330 piscine olimpioniche!
Con cadenza di due o tre anni, in primavera, le enormi forze del ghiaccio in quota spingono l’intero ghiacciaio sempre più avanti, fino allo scontro con la Peninsula Magallanes. A questo punto il ghiacciaio è fermo, ma l’acqua che defluisce normalmente dal lago non è più libera di scorrere. Il livello del lago si alza per settimane, allagando le praterie adiacenti, fino a che, grazie a un minuzioso lavoro di erosione tramite canali interni al ghiaccio, crea un piccolo tunnel. Questo si trasforma poi in un gigantesco arco di ghiaccio, e infine collassa con un crollo che i turisti sperano di immortalare dalla terra ferma.

Lo spettacolare collasso dell’arco glaciale del Perito Moreno. [©The Guardian]

Il collasso è un evento improvviso, e gli equilibri si ristabiliscono in maniera altrettanto improvvisa: la piena generata dalla distruzione della diga inonda i campi e le praterie più a valle, in un delicato equilibrio che gli abitanti hanno imparato a conoscere, rispettare e gestire.

Il futuro dei ghiacciai

I ghiacciai sono diventati uno dei simboli del climate change, negli ultimi anni i dati sono impressionanti, i ghiacciai si ritirano di stagione in stagione. L’attenzione mediatica cerca i fenomeni più spettacolari, come i cani da slitta che corrono su 10 cm di acqua invece che sul ghiaccio della Groenlandia, o il temuto crollo del ghiacciaio Planpincieux (Monte Bianco).
Fenomeni del genere saranno sempre più frequenti, accompagnati soprattutto da siccità e incidenti in montagna, ma questo richiederà un articolo a parte.

Rimarranno presto solo cartelli e pannelli informativi, dove oggi ci sono i ghiacciai. [©Getty Images]