Testi brevi, accordi semplici, capelli a cresta e facce incazzate.
Non si ritroverà più, in tutta la storia della musica, un genere che rappresenti meglio la ribellione e la stanchezza di una generazione arrivata a un punto di saturazione. Una esplosione d’insofferenza distruttiva e rabbiosa. Un malessere che trova spazio in un semplice monosillabo: PUNK.
Gente che non conta un cazzo e che fa musica da “due soldi”.
«It’s London, baby». Manco a farlo apposta, due delle quattro lettere del termine connotano geograficamente il genere ribelle: siamo in UK.

Nell’autentico inno della generazione Punk, Johnny Rotten canta “Anarchy in the UK”.

«Better to burn out than to fade away»

Meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente recitava una frase di un testo di Neil Young, resa celebre da Kurt Cobain. Per i Sex Pistols, «la sola punk rock band inglese» secondo la BBC, il concetto non potrebbe rendere meglio l’idea. Sid Vicious e compari rappresentano tutt’oggi la quintessenza del movimento che ha nel “no future” il suo grido di battaglia. Nato nel 1975, il gruppo durerà soltanto tre anni, dissolvendosi come un sogno convulso alle prime luci dell’alba, dopo una notte di pogo e sbronza, con la testa ancora pulsante e lo stomaco in subbuglio.
A fare da contraltare ai Pistols, c’è un altro gruppo che si fa largo nell’underground londinese, meno autodistruttivo e nichilista, composta da ragazzi un po’ più raffinati musicalmente: parliamo dei Clash.

Clash è scontro, combattimento, disaccordo, conflitto. Il nome venne scelto da Paul Simonon, accortosi che il termine ricorreva su tutti i giornali dell’epoca. L’esordio della band è a Sheffield, la città del calcio, il 4 luglio 1976: sono, ironia della sorte, il gruppo spalla dei Sex Pistols.

I Clash al completo, fotografati in una strada di Londra: partendo da sinistra Nick “Topper” Headon (batterista), Mick Jones (chitarrista), Joe Strummer (chitarrista e vocalist) e Paul Simonon (bassista). Immagine tratta da www.longliverocknroll.it

Dopo i primi due album realizzati in studio, il 14 dicembre 1979 i quattro scalmanati in foto spiccano il volo, sfornando un LP che li consacrerà al successo: London Calling.
L’immagine in copertina, Paul Simonon che spacca il suo basso Fender, è un’immagine fottutamente punk. Ma rappresenta anche una cesura fondamentale all’interno del movimento stesso: si tratta di un’opera che eleva il genere, lo dota di suoni e musicalità nuove che spaziano dal raggae al rockabilly, dal rock and roll allo ska.

La prima traccia dell’omonimo doppio LP del 1979: London Calling

«London Calling to the faraway towns, now that war is declared and battle come down»

Sono gli argomenti trattati nelle canzoni a rendere l’album un caposaldo della cultura punk rock. Le parole del brano d’apertura ricalcano i proclami radiofonici di Radio Londra durante il secondo conflitto mondiale. Rigidi e cadenzati colpi di plettro sono la sigla di apertura di un vero e proprio bollettino di guerra, la fosca cronaca di una città sull’orlo dell’abisso: disastri nucleari, inondazioni, abuso di droghe, scontri con la polizia, quartieri disagiati e giovani spaesati sono i principali protagonisti dell’interno album. Uno scenario romanzato, certo, ma l’aria che si respira nella City comincia a puzzare ancora una volta di sangue, sudore e lacrime. La Londra dei Clash sta vivendo un periodo economicamente molto difficile. La gente perde il lavoro e i giovani non vedono prospettive per il loro futuro.

«When they kick at your front door, how you gonna come? With your hand on your head or on the trigger of your gun?»

Su questa maleodorante scia di spaesamento e frustrazione la politica spruzza una fresca ventata di conservatorismo: nella tornata elettorale del maggio di quel 1979 trionfa il partito conservatore di Margaret Thatcher. La risposta della Iron Lady alle sofferenze della madrepatria è una sola: ordine. Le strade, specie nei quartieri ghetto come Brixton, diventano terreno di scontro e violenze che contrappongono la furia cieca di immigrati e classi del sottoproletariato ai manganelli degli agenti di polizia, liberi di calcare la mano. Scioperi e manifestazioni vengono duramente represse. Non c’è scelta, o ti lasci andare o alzi il culo e combatti. Le generazioni di allora esprimono la loro ribellione vestendo di borchie e giubbotti di pelle, dipingendosi i capelli e alzando la cresta e le due dita all’indirizzo dell’autorità.

Si salvi chi può, e, soprattutto, “God save the queen”. È una cazzo di guerra senza quartiere, e senza tempo. In nessuna città del nostro continente è possibile camminare per strada e imbattersi in un così netto contrasto tra movimenti radicali e una società così marcatamente tradizionalista. Un contrasto che produce clash, scontro, riots.

«White riot, I want to riot / White riot, a riot of our own».

Dal 6 al 10 agosto 2011 Londra ha bruciato ancora, è stata messa a soqquadro dai disordini partiti dalla periferia. Saccheggi, sciacallaggio e rivolte. Da Tottenham a Chelsea, fino al fottuto Oxford Circus, parte tutto ancora una volta da Britxon. E’ la guerra degli sbandati.

Le due dita nel Regno Unito non vogliono dire “vittoria” – Pinterest

«’Cause London is drowning, and I, I live by the river»

London Calling è un brano apocalittico. Descrive le paranoie di un’epoca in cui si aspettava il disastro nucleare da un momento all’altro. E’ il 1979 c’è la cazzo di guerra fredda, in mezzo a Reagan e Brežnev c’è il nostro culo. «Un’era glaciale sta arrivando, il sole si sta avvicinando, una fusione nucleare attesa»…adesso al posto della treccia immaginatevi due trecce. Già fratelli, il punk dei nostri giorni è una ragazzina che vomita la sua rabbia in faccia ai potenti.

«The wheat is growin’ thin»

Dove passa il punk non cresce più l’erba. Ma nel 1979 è meglio non guastare troppo i raccolti, siamo in mezzo alla crisi energetica quando anche i potenti della terra scoprono di avere le pezze al culo. Manca la benzina, i prezzi aumentano, la produzione diminuisce e…il grano cresce meno. Le calamità, che di naturale hanno poco, sembrano non finire.
«Mancheranno farmaci e alimenti freschi con conseguente diffusione di malattie, prezzi di cibo e elettricità destinati a salire, rischio violenze in Irlanda del Nord e nelle strade, caos a Gibilterra e Dover». Sembra quasi di essere tornare al 1940, nel 1979 sembra di rivivere la battaglia di Londra coi tedeschi e la Raf a darsi battaglia sui cieli di Gran Bretagna. Peccato che non sia il 1979: signori e signore avete appena ascoltato Yellowhammer, il nome in codice per il piano d’emergenza del ministero del tesoro nel caso in cui la Brexit si concludesse con un no-deal. Una scenario post-apocalittico che forse nemmeno i Clash avrebbero ipotizzato.

«I’m so bored with EU»

Diceva un tizio con la barba lunga: «La storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa». A quarant’anni di distanza, di ragazzi con la cresta in giro se ne vedono molti meno, ma le cose non sono cambiate di molto rispetto al passato. Viviamo in un periodo di lenta ripresa dopo anni di crisi economica; la gente continua a perdere il lavoro e le prospettive per le nuove generazioni non sembrano delle più rosee.
Oggi come allora sono i Tories a regnare incontrastati, a maggior ragione dopo i risultati delle elezioni tenutesi il 12 dicembre, pochi giorni fa. La spinta conservatrice del governo contrasta con la necessità di riforme per il paese.
Siamo probabilmente in un momento che rischia di convergere in una grande opera tragi-comica: lo testimoniano bene prima il raccapricciante balletto e poi, a pochi mesi di distanza, le lacrime della ex leader Tory Theresa May.

Theresa May, candidata Tory, balla sulle note di “Dancin Queen” degli ABBA al congresso dei conservatori. Immagine tratta da Leggo.it

«Darling, you got to let me know, should I stay or should I go?»

La mancanza di un piano che vada oltre l’uscita dall’Unione Europea, sembra una costante della politica inglese. Mai come oggi il grido «No future» sembra echeggiare per le strade: Londra non è mai stata così intrinsecamente Punk.
Il rifiuto e l’incertezza, tuttavia, al contrario di quanto avvenisse quarant’anni fa, sono abbracciati a piene mani dalla politica che cavalca l’onda del malcontento proponendo come unico rimedio il ritorno indietro nel tempo, la dipartita della sfavillante capitale britannica fuori dal circuito delle capitali europee.

Alla fine della guerra delle Flakland, nel 1982, Margaret Thatcher affermò che l’Inghilterra aveva cessato di essere una nazione in declino.
Oggi nessun conflitto o episodio dirompente sembra poter modificare la traiettoria discendente dell’isola di sua maestà.
Londra, l’incontrastata città del multiculturalismo e dell’opportunità non è mai stata così poco attrattiva.
London is falling e noi, attoniti e frastornati, la guardiamo affondare dall’altra parte della riva.