A cura di Sara Bonafede

Ovunque ci si volti, per le strade o sui social, lui è lì. E quando non c’è, ecco che qualcuno lo nomina, che sia l’ amico al bar o la notizia su un giornale. Lo studiamo, lo guardiamo, lo fotografiamo, lo compriamo, lo esportiamo, lo sprechiamo, lo prepariamo, lo amiamo e lo odiamo, qualsiasi sia il nostro ruolo non possiamo sfuggirgli.
Quella per il cibo sembra una mania. L’attenzione mediatica dedicata al food è effettivamente molto alta, tanto che viene da chiedersi se non si tratti di una moda e se l’importanza attribuitagli non sia esagerata.

Siamo bombardati da inaugurazioni di scintillanti ristoranti, di programmi di cucina e da consigli per la linea, per non parlare del dibattito sulla carne. Ma perché? Il cibo riveste davvero un ruolo centrale nelle nostre vite. Ma cosa ne sappiamo davvero e perché dovrebbe interessarci parlarne, oltre che mangiarlo?
Nutrirsi è una esigenza primaria necessaria, dalla cui soddisfazione dipende la nostra sopravvivenza. Tuttavia la sua rilevanza non è legata solamente al bisogno di sfamarsi e al piacere dell’individuo.

Le attività di ricerca, produzione e consumo degli alimenti hanno plasmato e tutt’ora influenzano in maniera inprescindibile la società. La storia dell’umanità è ruotata intorno all’ingegnarsi per inventare nuove tecniche di caccia più proficue, nuove coltivazioni più redditizie, maniere di conservare il cibo più a lungo e di cucinarlo in modo da sfruttarne al massimo le proprietà nutritive. La nostra evoluzione è segnata dall’adattamento progressivo della nostra specie per plasmare il più efficiente sistema alimentare possibile. Da che mondo è mondo, d’altra parte, dobbiamo mangiare.

Perché, tuttavia, la centralità sociale del cibo non risulta lampante ai nostri occhi?
Perché apparentemente siamo riusciti a creare il sistema più efficiente possibile.
Il fatto che oggi la maggior parte della popolazione del mondo sviluppato non debba più impegnarsi quotidianamente per procacciarsi il cibo fa dimenticare il suo ruolo nella società. Eppure, il settore alimentare riveste un ruolo fondamentale a maggior ragione ora che è parte di un sistema produttivo e distributivo quale quello capitalistico.
Il cibo governa e regola ancora, se non più che in passato, la nostra società e i rapporti internazionali.

La caratteristica peculiare del cibo è quella di coinvolgere ambiti diversi. L’origine naturale degli alimenti comporta necessariamente un legame con la questione ambientale e climatica. Le condizioni dei lavoratori nell’agricoltura e le procedure sanitarie lo rendono un ambito giuridicamente ed eticamente delicato. L’industria di elaborazione, il commercio internazionale, la ristorazione e l’intrattenimento intorno al food ne fanno un colosso anche nei settori secondario e terziario.

La correlazione tra dieta e salute, sia per gli eccessi che per la denutrizione, interessa da un lato quegli Stati avvelenati dalla loro stessa ricchezza, dall’altro quelli che ancora vedono i loro cittadini morire di fame. Su che ruolo abbia oggi il cibo a livello globale e su che uso farne, da anni si interrogano diverse associazioni internazionali, in primis l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Nel 2015, più di 150 leader mondiali si sono incontrati alle Nazioni Unite per discutere della direzione da prendere a livello globale per il futuro pianeta. Il risultato di tale congresso sono i “Sustainable Development Goals”, ovvero 17 obiettivi da raggiungere dagli stati membri entro il 2030.

L’Agenda, come viene anche chiamata, è un programma che prevede la collaborazione di tutti gli Stati, in relazione alle loro possibilità, ad un modello di sviluppo basato non più soltanto sulla crescita economica, bensì sulle condizioni di vita della popolazione.
Nati sulla scia degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio stabiliti nel 2000 per i quindici anni a seguire, i punti stabiliti dall’ONU per il 2030 ne rappresentano una forma più completa e attuale. Rispetto al programma precedente, criticato in quanto piuttosto generico, sommario e poco chiaro su come raggiungere risultati reali per la popolazione, L’ Agenda 2030 si pone in una direzione inclusiva di tutti gli Stati e di tutte le diverse problematiche attuali, entrando poi in dettaglio sulla strada da prendere per intervenire.

I goal da raggiungere, che potete trovare elencati nell’ immagine qui sopra, riguardano tre tematiche principali. L’aspetto sociale, che comprende la salute, la sicurezza – l’accesso ad assistenza sanitaria, acqua potabile e cibo – e l’eguaglianza – giustizia, istruzione e pace a livello internazionale -.
In secondo luogo, la questione ambientale e climatica e la salvaguardia del pianeta, sempre più impellente e imprescindibile in una visione di futuro sostenibile. Infine, la crescita economica resta interesse e necessità per gli Stati, intesa come raggiungimento di livelli di guadagno, stabilità economica e qualità del lavoro per tutti.

Il settore alimentare, dall’agricoltura, all’allevamento, all’industria di rielaborazione, fino al trasporto, alla distribuzione e al consumo ultimo, è strettamente collegato a ciascuno di questi aspetti. La FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ha fatto seguire alla pubblicazione dei SDG (dall’inglese Sustainable Development Goals) un documento ufficiale chiamato “transforming food and agriculture to achieve the SDGs” nel quale definisce il ruolo dell’agricoltura e del cibo nel raggiungimento dei Sustainable Development Goals e individua le linee guida da seguire. Viene in primo luogo chiarito come questo settore influenzi ciascuno dei tre ambiti (salute e giustizia, crescita economica e ambiente), per poi presentare i principi imprescindibili per contribuire a migliorarli e le conseguenti azioni da effettuare.

In particolare, dal grafico che illustra la relazione tra i SDG e i gli obiettivi della FAO, i goals 1 (No poverty), 2 (Zero Hunger), 8 (Decent WOrk and Economic Growth), 12 (Responsible Consumption and Production), 13 (Climate Action), 14 (Life Below Water), e 15 (Life on the Land) risultano più intuibilmente legati alla produzione del cibo, ma i contributi del settore alimentare li riguardano, in misura diversa, tutti e 17. Produrre sufficiente cibo per la popolazione in crescita, distribuirlo in maniera equa, garantire l’accesso sia fisico che economico ad una dieta sana che permetta una vita attiva, sono emergenze globali dipendenti dalla direzione che decideremo di dare all’agricoltura.

Uno studio pubblicato sul Journal World Development dagli economisti Ivanic and Martin, nel 2018, ha dimostrato che il miglioramento e l’incremento della produttività del settore agricolo ha un impatto esponenzialmente maggiore di qualsiasi altro settore (industriale o terziario) sulle condizioni di vita delle persone – soprattutto delle fasce più povere. Il 27% della popolazione mondiale lavora nell’ambito agricolo e nei Paesi in via di sviluppo questo numero sale ad una media dell’80% degli abitanti impegnati nell’agricoltura, più della metà dei quali sono donne.
La produzione di ciò che mangiamo è indissolubilmente legata al pianeta, perché, da un lato, impatta l’ambiente, per via del consumo di acqua, lo sfruttamento del terreno, l’inquinamento dell’industria e delle confezioni e la distruzione di interi ecosistemi per far spazio ad allevamenti e monoculture. D’altra parte, per continuare a poter produrre cibo, però, abbiamo bisogno di acqua potabile, di aria respirabile, di terreni fertili e di specie sane.

Per questi e per altri innumerevoli motivi parlare di cibo è fondamentale per la nostra sopravvivenza e attira sempre più l’interesse delle istituzioni.
È necessario interrogarsi su quali azioni e modelli di sviluppo si nascondano dietro al panino che mangiamo, sul suo ruolo nella società e, di conseguenza, nelle relazioni internazionali. Siamo ciò che mangiamo e nel futuro questo impatterà sempre più sullo sviluppo di intere nazioni, se non del mondo intero. A fronte dell’allarmismo generale che teme una scomparsa del cibo dalle nostre vite e una perdita dei valori dei quali esso è tramite, si può dire che esso abbia solo cambiato forma, ma che continui a condizionare le nostre vite. In che maniera e in che direzione continuerà a farlo, sta a noi.