Articolo scritto da Claudio Biolchini il 22 marzo 2020 per Around the Game. Qui è possibile leggere l’articolo originale

L’NBA si è fermata, e non riprenderà a breve.

Le restanti 275 partite di Regular Season sono seriamente a rischio. Il Centro Nazionale di Controllo Malattie degli USA ha proibito manifestazioni con più di 50 persone per i prossimi due mesi. Questo chiaramente impedisce anche le partite a porte chiuse, considerando che fra giocatori, allenatori, arbitri e personale si superano ampiamente le 50 unità. Oltre a questo, lo spazio nelle arene sarebbe difficile da ritrovare, considerando che altri eventi saranno da recuperare, come concerti o partite NHL.

I casi di positività, intanto, si moltiplicano, tra giocatori e membri dello staff. Ultimi, in ordine di tempo, Marcus Smart e alcuni giocatori ancora non noti dei Los Angeles Lakers. Da venerdì, stop anche agli allenamenti, che stavano procedendo anche se con rigorosissime misure di distanziamento sociale. Ora l’organizzazione è davvero concentrata soltanto nel contenere l’emergenza, tanto che Adam Silver starebbe pensando ad una partita di beneficenza a porte chiuse per raccogliere fondi.

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Foto: Celtics Blog

Un’ipotesi realistica di ritorno in campo potrebbe essere metà/fine giugno, data sentenziata dopo un colloquio dei vertici con il medico Vivek Murthy, piuttosto scettico sulla capacità del governo di affrontare in poco tempo e con successo l’emergenza Coronavirus a breve termine. Disappunto anche dalla guardia dei Chicago Bulls, Tomas Satoransky, il quale crede che la stagione non si concluderà, e ha poco velatamente accusato i proprietari di voler tornare in campo ad ogni costo pur di non perdere soldi.

Già, i soldi.

Essendo gli stipendi NBA una grandezza indicizzata, dipendente da quanto la Lega guadagna nel suo complesso, una drastica riduzione degli incassi influirà sul Salary Cap.

Per fortuna, gli accordi con la TV nazionale sono pluriennali: quello corrente dura sino al 2024/25 e non costituisce un problema a breve termine

Ci sono poi tutti i guadagni legati alle attività di campo, il cosiddetto BRI (Basketball Related Income), che viene più o meno diviso a metà tra proprietari e giocatori. Secondo le stime di “The Athletic”, la perdita dei restanti match di RS comporterà un mancato incasso di 500 milioni di dollari. La metà di questi sarebbe la parte destinata ai giocatori, ed ecco che – dividendo 250 milioni di dollari per le 30 franchigie – ci si troverebbe davanti a un abbassamento (teorico) del tetto salariale di oltre 8 milioni.

In questo modo diventeranno meno remunerativi i contratti firmati l’anno prossimo, dal minimo salariale per i veterani fino alla Rookie Scale e alla Mid Level Exception. Per chi ha un accordo al massimo salariale già firmato che entrerà in vigore a luglio (come ad esempio Ben Simmons, Paskal Siakam e Jamal Murray) potrebbe significare 10 milioni di dollari in meno nel conto in banca.

L’NBA sta studiando delle misure per contenere un abbassamento così drastico in poco tempo, per non danneggiare in modo tanto ingente i giocatori in scadenza contrattuale. L’obiettivo potrebbe essere moderare il crollo non oltre i 6 milioni, secondo Yahoo Sports, come accaduto nel 2011.

Ecco, nella seguente tabella, lo spazio salariale già impegnato dalle franchigie (in ordine decrescente) per la stagione 2020/21.

La soglia di cap prevista per la prossima annata era inizialmente di $116 M, poi ridotta a $115 M dopo la frase del GM dei Rockets Daryl Morey su Hong Kong, che ha fatto venire meno una parte di introiti cinesi alla NBA. Dopo i disagi creati dalla diffusione del Coronavirus, come detto, potrebbe calare ulteriormente di 8 milioni. E ovviamente le squadre che hanno meno spazio libero saranno quelle che subiranno di più l’abbassamento della soglia.

Come potrebbe cambiare free agency e trade market?

I giocatori in scadenza potrebbero preferire firmare un contratto annuale, per poi trovare un accordo più remunerativo quando la crisi sarà finita. Altri che magari pensavano di cambiare squadra – come DeMar DeRozan, Andre Drummond e Jabari Parker – potrebbero esercitare le loro player option per ottenere più denaro di quanto non accadrebbe testando la free agency. I RFA – come ad esempio Bogdan Bogdanovic e John Collins – potrebbero ricevere offerte meno remunerative di quanto avrebbero immaginato.

Insomma, un effetto domino dalla portata difficile da valutare.

Gli stipendi di quest’anno, al momento, non sono a rischio. Esiste tuttavia un articolo, nell’accordo di oltre 600 pagine tra NBPA (il sindacato giocatori) e i proprietari, che consentirebbe, in caso di forza maggiore, un taglio dell’1.8% del salario per ogni partita non giocata. Ed è chiaro che una pandemia rientrerebbe decisamente nei casi di “Force Majure Event”; senza contare che in questi casi epocali, gli owner potrebbero anche chiedere di far decadere temporaneamente l’accordo con il sindacato, tramite lettera scritta con 60 giorni di preavviso.

Questi scenari non sono previsti, perché tutti vogliono completare la stagione in qualche modo. E perché la crisi dovrebbe essere provvisoria e impattare solo su questo fine stagione e al massimo sul 2020/21: discussioni sportive a parte, è quello che ci auguriamo tutti…

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FOTO: NBA.com

Ovviamente, comunque, i giocatori sono in cima alla piramide alimentare. Ma non sono gli unici, ci sono anche gli operatori dell’indotto.

Per chi lavora nelle arene NBA (steward, addetti all’intrattenimento, cassieri/commessi di negozi e ristoranti, cuochi, addetti alla sicurezza, parcheggiatori…), la remunerazione dovrebbe essere garantita grazie ai sacrifici dei proprietari. Al momento, 28 owner su 30 hanno dichiarato il loro supporto ai dipendenti con paga oraria, grazie anche all’aiuto di atleti come Kevin Love, Giannis Antetokounmpo e Zion Williamson.

Per le aziende vicine agli impianti – come bar, ristoranti e negozi, oppure per i tassisti – sarà più problematico trovare dei sostegni al reddito perso.

Quanto ai tifosi, quelli che hanno acquistato i biglietti, riceveranno un credito futuro o un rimborso, così come hanno iniziato a fare gli Orlando Magic. Le altre franchigie dovrebbero seguire l’esempio.

Il tweet di Bobby Marks, insider NBA per ESPN, è piuttosto chiaro: slittamento di Free Agency, Draft (piuttosto difficile da fare in remoto), Summer League, Training Camp e Playoffs (serie al meglio delle 5 partite?) e, se non bastasse, Regular Season 2020/21. I contratti dei giocatori in scadenza 30 giugno, invece, dovrebbero semplicemente essere prorogati in deroga.

Questo andrebbe comunque a scontrarsi con le Olimpiadi di Tokyo, questione su cui il CIO, il Comitato Olimpico Internazionale, non sembra voler accettare un rinvio. Almeno per ora.

Le certezze sono poche, le tempistiche complicate, ma la volontà di tutti è finire la stagione NBA, che, con tutto questo riposo inaspettato, potrebbe regalarci i migliori Playoffs di sempre. Con protagonisti che non ci saremmo aspettati di vedere in campo, considerando che il tempo per chi sta recuperando da infortuni (e le conseguenti chanche di giocare la post-season 2020) si sta inaspettatamente dilatando…

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