Nel 1977, George Lucas mise sugli schermi di tutto il mondo l’opera che avrebbe definito la sua carriera: Guerre Stellari. Il film, un capolavoro di fantascienza che reinterpretava i B-movie con cui Lucas era cresciuto, venne distribuito ai cinema nel formato pellicola 35mm, per la gioia sfrenata di tutti i fan.

Nel 1985, George Lucas mise sugli schermi di tutto il mondo l’opera che aveva definito la sua carriera: Guerre Stellari: Una Nuova Speranza. Il film, un capolavoro di fantascienza che reinterpretava i B-movie con cui Lucas era cresciuto, venne distribuito ai fan nel formato VHS e Laserdisc, con un mixaggio audio migliorato e velocizzato del 3% a causa dello spazio limitato, per la gioia di tutti i fan.

Nel 1995, George Lucas mise sugli schermi di tutto il mondo l’opera che aveva definito la sua carriera: Guerre Stellari: Una Nuova Speranza – Edizione Speciale. Il film, un capolavoro di fantascienza che reinterpretava i B-movie con cui Lucas era cresciuto, venne distribuito ai fan nei principali formati casalinghi, con nuovi effetti speciali e controverse modifiche a dialoghi e scene, per l’alzata di sopracciglio collettiva di tutti i fan.

Nel 2011, George Lucas mise sugli schermi di tutto il mondo l’opera che aveva definito la sua carriera: Guerre Stellari: Una Nuova Speranza – Edizione Speciale Blu Ray. Dai, ci siamo capiti?

Il caso di Guerre Stellari e le sue riedizioni è uno dei più dibattuti nel mondo nerd. Il primo episodio della serie (inteso come primo per data di uscita nelle sale) è stato rimesso in commercio molte volte, ben più di quante ne abbia indicato in apertura, ogni volta con modifiche che hanno creato molte discussioni sulla necessità e sull’effetto di questi cambiamenti. Ci sono però due elementi che rendono questo caso speciale: il primo è che Lucas decise di correggere retroattivamente certi elementi del film per rispecchiare i cambiamenti della sua visione della serie. Il secondo è che questi cambiamenti sono stati scelti personalmente dallo stesso Lucas, e non da dirigenti o esperti di marketing con considerazioni non artistiche.

Nel mondo dei videogiochi le cose si fanno molto, molto più complesse.

Han Shot First (“Han ha sparato per primo”) è il motto di quel gruppo di fan che si oppone alle modifiche fatte retroattivamente al film. La frase si riferisce all’incontro tra Han Solo e il cacciatore di taglie sulle sue tracce: nella versione originale Han gli sparava senza preavviso, dimostrandosi più simile a un fuorilegge che a un eroe vero e proprio. Nella versione riveduta e corretta Han apre il fuoco solo dopo il cacciatore di taglie, in un atto di legittima difesa. Copyright Guerre Stellari

Sto scrivendo questo articolo su uno schermo mentre sull’altro schermo mi sto godendo gli ultimi livelli di Halo 2: Anniversary, un remaster del secondo gioco della storica serie di Halo appena uscito su PC. In realtà, la storia è più complessa: “tecnicamente” parlando, sto giocando a una conversione per PC del 2020 di un remaster su Xbox One del 2014 di un gioco su Xbox del 2004 la cui versione originale per PC era uscita nel 2007.

Traduzione in – quasi – italiano: sto giocando a a versione per computer (uscita nel 2020) di un gioco uscito su una console (Xbox One) nel 2014; questo gioco su console è la versione rimasterizzata (spiegherò dopo cosa vuol dire) di un gioco uscito su Xbox 10 anni prima. Questo gioco del 2004 era stato però reso utilizzabile su PC nel 2007, senza però esser stato rimasterizzato. Ok, lo capisco; potete prendervi un OKI per il mal di testa e proseguire.

Facciamo un passo indietro. Nel mondo dei videogiochi, il termine remaster ha un significato preciso: come suggerisce il paragone musicale, significa prendere un gioco e cambiarne l’aspetto senza alterarne nessun’altra caratteristica. Halo 2: Anniversary, originariamente creato per celebrare i 10 anni del gioco, presenta un nuovo aspetto grafico, una nuova colonna sonora, nuovi effetti visuali – ma si tratta esattamente dello stesso gioco, tanto che è addirittura possibile passare dalla vecchia grafica alla nuova con la pressione di un tasto. L’effetto è decisamente notevole.

In alto, la versione originale del livello; in basso la versione rimasterizzata. C’è un netto miglioramento dal punto di vista dei numeri, con texture a risoluzione molto più alta e un maggior numero di effetti visuali, ma anche un cambio di direzione artistica. L’atmosfera si sposta dall’estremo horror all’estremo fantascientifico, prediligendo la seconda tra le due anime della serie. Copyright Microsoft / Bungie

Perché la cosa è importante? In primo luogo perché i remaster sono una parte importante dell’industria videoludica – la sola pagina High-Definition Remasters for PlayStation Consoles su Wikipedia conta decine e decine di videogiochi ri-rilasciati per la console di casa Sony. Il mercato è estremamente redditizio, e moltissimi trentenni sono più che disposti a pagare fior di euro per una versione migliorata di quello su cui hanno passato i pomeriggi da bambini, che sia Call of Duty o Crash Bandicoot.

In secondo luogo perché i videogiochi invecchiano velocemente, e invecchiano male. Se escludiamo il mondo degli effetti speciali, i grandi passaggi del cinema – i momenti che hanno reso i precedenti modi di fare le cose obsoleti – sono l’aggiunta del sonoro e il passaggio al colore. Se consideriamo gli effetti speciali l’evoluzione si fa più marcata, e molti trucchi usati in passato risultano chiaramente artificiali se visti con occhi moderni.

I modelli in stop motion di Ray Harryhausen erano rivoluzionari e impressionanti negli anni ’60; per apprezzarli oggi è necessario immedesimarsi nel punto di vista di uno spettatore dell’epoca, e risulta difficile la sospensione dell’incredulità.

I videogiochi sono fatti interamente di effetti speciali, in un certo senso, essendo creati interamente tramite grafica su schermo. Un videogioco inizia a sembrare obsoleto da una generazione di console all’altra [il passaggio da PlayStation 1 a PlayStation 2 rappresenta un cambio di generazione], se non addirittura già a qualche anno di distanza. Vai indietro di dieci anni, e i giochi della generazione PlayStation 3 sembreranno molto datati rispetto a ora con PlayStation 4. Vai indietro di venti, e sembreranno ancora più primitivi. Oltre quella data i giochi spesso sono difficili da giocare, con controlli legnosi e con un aspetto che sembra più vagamente suggerire forme umane che rappresentare persone vere e proprie. Erano spettacolari all’epoca, ma il game design si è evoluto, e la fedeltà grafica ancora di più.

I remake servono a risolvere entrambi i problemi. Se un remaster rinnova solamente l’aspetto grafico, un remake prende il gioco originale e lo reinterpreta totalmente, cambiando modi di giocare e (occasionalmente, ma in maniera lieve) anche la trama. Tutto è messo in discussione: come abbiamo visto nel recente caso di Final Fantasy 7, non solo il gioco ha avuto un salto impressionante dal punto di vista grafico, ma invece di un combattimento gestito a turni tramite menu siamo davanti a tanta azione, tante opzioni e sensibilità decisamente più moderne.

Un altro vantaggio possibile rispetto ai giochi di una certa età è quello di una risoluzione e a un aspect ration maggiore, con risultati immediatamente notevoli per quanto riguarda la qualità video. Final Fantasy 7 Remake, uscito ad aprile, spicca immediatamente agli occhi anche senza discutere delle enormi differente di gameplay. Copyright Square Enix

Se la scorsa generazione era stata caratterizzata da un’ondata di remaster il cui riflusso si è sentito ben dentro a quella attuale, i remake sembrano essere diventati il simbolo del periodo che si sta chiudendo – complice un enorme salto di possibilità tecniche e di design e il sempreverde ciclo dei trent’anni, che ha raggiunto il periodo della nascita dei giochi 3D. Questa teoria, che afferma che ogni trent’anni c’è un ritorno di fiamma di un certo tipo di cultura popolare (classico esempio: Grease, che all’apertura degli anni ’80 portava sugli schermi moda e suoni anni ’50), è particolarmente sentita nel mondo dei videogiochi – comprensibile, visto che i giovani cresciuti giocando a certi giochi si trovano nella condizione economica di poter spendere cifre interessanti per godersi pezzi del proprio passato in salsa moderna.

Abbandonado remaster e remake, il reboot, invece, si spiega molto più semplicemente degli altri: si tratta di prendere principalmente nomi e idee da un franchise, come ad esempio il celeberrimo Tomb Raider, e utilizzarli per creare qualcosa di nuovo che sfrutta quasi solo il nome per farsi riconoscere dal pubblico. Tomb Raider è l’esempio perfetto perché anche la versione cinematografica ha subito un vero e proprio reboot con l’uscita del film Tomba Raider – che originalità – nel 2018.

Tra tutte le opzioni il reboot è quella meno apprezzata dai fan, che in linea generale non amano vedere la propria conoscenza di un certo universo narrativo azzerata e lo percepiscono spesso come scelta meramente economica. E il puro denaro è certamente una considerazione importante per ognuna di queste scelte, il cui scopo principale resta posizionare sul mercato un prodotto che goda già di un bacino di utenza interessato.

Ce ne sono però anche altre, oltre all’aspetto visivo che abbiamo menzionato. Mettendo da parte il discorso della re-release, che significa semplicemente rimettere in commercio un gioco tale e quale su nuove piattaforme (come l’esempio del sopra citato Halo, uscito prima su Xbox e poi su PC), il mondo dei videogiochi soffre di un grosso problema di base: la gioventù. Nonostante non ci si trovi più davanti a gruppi di tardoadolescenti che tirano avanti a pizza e Coca-Cola in loschi scantinati, il mondo dei videogiochi ha effettuato una rapida evoluzione, e il design ha fatto passi da gigante rispetto ai primi timidi passi nel mondo del rapporto tra uomo e controller.

L’originale Resident Evil 2 aveva controlli impacciati e inquadrature inamovibili, ed era considerato all’epoca un capolavoro di grafica e di terrore considerate le limitate possibilità del settore. Il recente remake ne ribalta completamente l’aspetto, trasformandolo a pieni termini in un gioco moderno e di altissimo livello. Copyright Capcom

Ma questa evoluzione rischia di cancellare il passato del genere. Molti dei giochi che vengono sostituiti dai loro remake, remaster o reboot vengono sepolti dalle sabbie del tempo; e se, da un certo punto di vista le loro nuove versioni sono “superiori”, restano comunque importanti documenti storici che rischiano di venire persi per sempre. Non si può più comprare la versione originale di Guerre Stellari in nessun luogo, con i suoi effetti speciali originali, nella maniera in cui era diventata un fenomeno mondiale. La versione riveduta e corretta di Lucas è l’unica che resta per chi si fosse avvicinato a quella storia dopo il 1995. Incluso chi scrive questo articolo.

La modernità è importante, ma la storia lo è altrettanto.