Non c’è da meravigliarsi che una così importante parte della ricerca di una propria identità per gli afroamericani sia stata sostenuta da musicisti jazz. Molto prima che moderni saggisti e studiosi scrivessero di “identità razziale” come di un problema per un mondo multirazziale, i musicisti erano tornati alle loro radici per esprimere ciò che agitava internamente le loro anime. Molta della potenza del nostro Freedom Movement negli Stati Uniti è nato da questa musica. Essa ci ha fortificato con i suoi ritmi potenti quando il coraggio iniziava a mancare. Ci ha calmato con le sue ricche armonie quando lo spirito cominciava a darsi per vinto. È stato così fin dai giorni dei semplici spiritual neri. Ed ora il Jazz si esporta in tutto il mondo. Perché nella lotta particolare del nero in America c’è qualcosa di affine alla lotta universale dell’uomo moderno. Tutti hanno i “Blues” , dei momenti di sconforto [ndr]. Tutti bramano un senso. Tutti hanno bisogno di amare ed essere amati. Tutti hanno bisogno di batter le mani ed esser felici. Tutti desiderano la fede. E nella musica, e in particolare in questa categoria detta Jazz, c’è un punto di partenza per tutte queste cose

Con questo discorso il reverendo Martin Luther King apriva il Berlin Jazz Festival del 1964. Le sue parole e la sua presenza nella città tedesca, oltre a rappresentare un momento topico nella storia della lotta per i diritti degli afroamericani, volevano parimenti riconoscere l’importanza del ruolo che il jazz aveva, già da alcuni anni, nella lotta del Freedom Movement. Se è vero che ormai siamo abituati a ritenerlo parte di una cultura mondiale che supera di gran lunga il folclore e l’arte targata USA, va anche detto che il jazz è profondamente legato alla cultura afroamericana. Non solo, ma è anche – nelle parole del reverendo King – uno dei principali strumenti che ha dato voce alle radici e all’anima della comunità nera, prima di qualunque altra espressione artistica. Ogni lotta, ogni resistenza o rivoluzione vuole i suoi riti e la sua musica, canzoni che permettano alle persone di riconoscersi in qualcosa di più grande, una sintesi che le include superandole.

Charlie Parker è il padre del bebop: virtuosismo, tempi veloci, scelte avventurose

Durante la seconda metà degli anni ‘30 il jazz era diventato popolare negli USA come intrattenimento per il pubblico bianco con musicisti swing come Louis Armstrong, ma con il Bebop degli anni ’40 i jazzmen neri ritornarono a conquistarsi uno spazio sempre più personale dove poter agire liberamente. Il Bebop portò così il jazz verso scelte armoniche e ritmiche sempre più audaci e rivoluzionarie, superando tanto il leaderismo delle orchestre e delle big band quanto l’idea di dover compiacere un certo tipo di pubblico e diventando vera e propria espressione dell’abilità e dell’identità dei musicisti neri. Mentre il movimento acquistava fama e forza e iniziava a farsi espressione della rabbia e della voglia di lottare della minoranza afroamericana, nascevano le prime canzoni di denuncia contro la segregazione razziale.

Southern trees bear a strange fruit,
blood on the leaves and blood at the root,
black body swinging in the Southern breeze,
strange fruit hanging from the poplar trees

Cantata da Billie Holiday per la prima volta nel nightclub Café Society di New York nel 1939, Strange Fruit è una delle prime espressioni del movimento per i diritti civili: gli “strani frutti”, simbolo dei corpi dei neri che venivano lasciati penzolare dagli alberi di pioppo, catturavano con enorme potenza simbolica l’immagine di un Sud rurale, razzista e violento. Nonostante l’ampio successo di cui godette la canzone e la sua interprete, il Freedom Movement era allora soltanto agli esordi. Uno dei primi passi per porre fine alle leggi Jim Crow di segregazione razziale (il cui motto era “separati ma uguali”) arrivò nel 1954. A margine del processo denominato Brown v. Board School Education, la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva sancito l’incostituzionalità delle discriminazioni razziali all’interno delle scuole pubbliche, ordinandone la cessazione. Una sentenza destinata a segnare la storia degli USA: fino a quel momento, infatti, solo diciotto stati su cinquanta avevano legislazioni che proibivano esplicitamente la segregazione nelle scuole. Le proteste delle popolazioni degli ex stati confederati non tardarono ad arrivare, numerose e violente. Uno dei casi più eclatanti avvenne a Little Rock, capoluogo dell’Arkansas, durante il mandato del Governatore Orval Faubus. Per paura di perdere le simpatie politiche della popolazione bianca, che costituiva la stragrande maggioranza dell’elettorato (il Civil Right Act era entrato in vigore solo in quel 1957, e a tutt’oggi gli afroamericani in percentuale votano meno dei connazionali bianchi), Faubus rispose in maniera ferocemente repressiva alla sentenza della Corte Costituzionale, dando il via a una crisi sociale e politica destinata a protrarsi a lungo e passata alla storia con il nome di Little Rock Crisis.

Hazel Bryan ed Elizabeth Eckford, Little Rock, Arkansas, Settembre 1957 – Will Counts/Indiana University Archives – Flickr

Nel 1957, infatti, nove ragazzi di colore tra i quindici e i diciassette anni (i Little Rock Nine), furono iscritti alla Central High School della città capoluogo dello stato del Sud, ignari della lunga ed estenuante lotta di potere che si stava per giocare sulla loro pelle. All’apertura della scuola per l’anno scolastico, numerosi comitati segregazionisti si stavano organizzando per protestare e Faubus decise di sostenerne la rabbia, utilizzando gli uomini della Guardia Nazionale dell’Arkansas per impedire ai Nine di accedere liberamente a scuola.

La condanna per l’operato del Governatore fu unanime: il distretto scolastico di Little Rock e il sindaco Woodrow W. Mann pregarono il Presidente Eisenhower di intervenire per far rispettare le delibere delle Corte Costituzionale. A fine Settembre del 1957, fu inviata la 101esima Airborne Division degli Stati Uniti come scorta armata per i Nine e il controllo della Guardia Nazionale dell’Arkansas fu assunto direttamente da Eisenhower. Nonostante l’intervento diretto del Presidente, Faubus non rinunciò alla propria lotta. Mentre l’anno scolastico 1958 volgeva al termine, il Governatore riuscì a introdurre una serie di regolamentazioni che gli permettevano di chiudere tutte le scuole pubbliche e, ricevuto l’appoggio della popolazione tramite il necessario referendum, il 15 Settembre del 1958 ordinò la chiusura di tutte le scuole fino a data da definirsi. Le conseguenze dell’azione di Faubus si rivelarono socialmente disastrose. Quello che passò alla storia come “l’anno perduto” fu contraddistinto dalla ferocia con la quale la popolazione bianca si scagliò contro le minoranze di colore, additate come capro espiatorio per il blocco dell’istruzione. Fu soltanto grazie alla sostituzione di alcuni sostenitori di Faubus all’interno del Consiglio d’Amministrazione del distretto scolastico e alla volontà di molti professori che, nel 1959, iniziò la riapertura. Nonostante le pratiche segregazioniste stessero venendo lentamente abbandonate, gli abusi fisici ed emotivi contro i Nine dentro l’High School di Little Rock continuarono per molto tempo.

Nonostante le leggi di segregazione siano state abolite tra gli anni Cinquanta e Sessanta, i dati dimostrano come l’attualità delle scuole negli USA mostri ancora una profonda disparità di trattamento su base economica e razziale. A quasi settant’anni dalla sentenza Brown v. Board School Education, le scuole dei distretti a maggioranza bianca ricevono ogni anno circa 23 miliardi di dollari in più rispetto alle scuole non-bianche e il processo di integrazione sembra molto attento a non ledere i privilegi delle fasce più abbienti.

Dedicated to the first, or second, or third, all-American heel, Faubus

Il 1959 era anche destinato a passare alla storia come il golden year del black jazz
Teo Macero (che sarebbe stato produttore, tra gli altri, di artisti come Miles Davis, Dave Brubeck e Thelonious Monk) aveva messo il contrabbassista Charles Mingus sotto contratto per un anno con la casa discografica Columbia Records, e The Baron si preparava a entrare in studio per registrare uno degli album più acclamati del ventesimo secolo: Mingus Ah Um. Mingus è stato, sotto molti aspetti, un profondo innovatore del jazz. Allontanandosi dalla scrittura tradizionale, proponeva nuovi modi di organizzare il discorso musicale abbandonando la fissità degli arrangiamenti. Durante le jam – sessioni caratterizzare da un’ampia improvvisazione, da cui spesso si originavano pezzi dell’album – forniva oralmente quasi tutto il materiale sonoro: scale, frasi, ritmi venivano creati ad hoc e presentati ai musicisti, che si sentivano incoraggiati a esprimere le loro qualità e peculiarità stilistiche in una cornice più libera e manipolabile. Intorno al tema principale, unico vero elemento di fissità della composizione, si veniva così a creare un maelstrom sonoro coinvolgente tanto per gli artisti che per il pubblico.

Mingus ah um si presenta come un tributo agli antenati del movimento. Better Git It in Your Soul, brano d’apertura, riporta al canto gospel che aveva accompagnato l’infanzia californiana di Mingus; tra l’omaggio a Duke Ellington con Open letter to Duke e il richiamo alle sonorità del pianista Jelly Roll Morton in Jelly Roll, troviamo un pezzo particolare, direttamente ispirato alle vicende che si stavano consumando in Arkansas: Fables of Faubus. Caratteristica peculiare della composizione è il fatto che inizialmente prevedesse un testo, nato (nelle parole di Dannie Richmond, batterista e seconda voce) in maniera spontanea durante una jam. La Columbia Records decise però che il testo andava eliminato e pregò Mingus di registrare soltanto la musica. In tempi recenti, l’etichetta si è difesa dalle accuse di censura, sostenendo che il pezzo fosse inizialmente nato solo strumentale e che il testo fosse stato aggiunto da Mingus e Richmond solo in un secondo momento. E’ molto più credibile che il testo fosse stato ritenuto troppo “forte” e politicamente schierato dai delicati palati dei produttori bianchi del tempo. Per il momento quindi, Mingus fu obtorto collo costretto ad accettare le richieste della Columbia. Difficile colpevolizzarlo: stava per pubblicare con una delle etichette più importanti e antiche degli USA – tuttora in attività – e avrebbe dato una svolta, anche economica, alla sua carriera. In ogni caso, Mingus non rinunciò mai al progetto originale e, a distanza di un anno, riuscì a registrare nuovamente la canzone, stavolta senza compromessi, grazie alla neonata Candid Records. A questa etichetta va una menzione particolare: durò solo 6 mesi ma pubblicò una trentina di dischi, mostrandosi molto vicina non solo alle necessità strettamente artistiche dei propri musicisti (ai quali fu lasciata la più ampia libertà possibile), ma anche alle istanze spiccatamente sociali che questi sostenevano. Potremmo definirla un’etichetta “di nicchia”, ma tra le sue pubblicazioni troviamo numerosi artisti di spicco, tra cui alcuni fidati collaboratori di Mingus come Eric Dolphy e Booker Little.

La Candid Records ha fatto uscire uno dei dischi più discussi degli anni ’50: We Insist! Freedom now suite di Max Roach. Oltre alle forti tematiche razziali che permeano la tracklist dell’album, in copertina troviamo una foto destinata a fare scalpore e a restare iconica, scattata durante un sit-in realmente avvenuto a Greensboro. Tre uomini neri seduti “illegalmente” al bancone di un bar mentre si fanno servire da un barista bianco. Inutile dire che si creò uno scandalo che fece entrare Roach – uno dei più grandi batteristi di sempre e dichiarato sostenitore di Malcom X – nella “lista nera” della discografia statunitense. Dalla pubblicazione dell’album (1960), la sua presenza in sala di incisione si diradò sempre di più.

Nel 1960 usciva anche Original Faubus Fables – seconda traccia di Charles Mingus presents Charles Mingus – registrato con Dannie Richmond (voce e batteria), Eric Dolphy (sax contralto) e Ted Curson (tromba). L’ipocrisia del tentativo della Columbia Records di difendersi dalle accuse di censura è sottolineata dalla scelta di Mingus di definire questa “seconda” versione come quella “originale”; la precisione dei riferimenti presenti nel testo e la foga con cui Richmond e Mingus gli danno voce, rende inoltre difficile pensare che testo e musica siano nati separatamente. Regola non scritta tra Dannie e Charlie era che se qualcosa di musicalmente rilevante fosse capitato durante la jam, sarebbe stato mantenuto nella registrazione ufficiale. Un approccio al testo non così diverso dal freestyle di un rapper.

Oh, Lord, don’t let ‘em shoot us!
Oh, Lord, don’t let ‘em stab us!
Oh, Lord, no more swastikas!
Oh, Lord, no more Ku Klux Klan!

Name me someone who’s ridiculous, Dannie.
Governor Faubus!
Why is he so sick and ridiculous?
He won’t permit integrated schools

Then he’s a fool! Boo! Nazi Fascist supremists!
Boo! Ku Klux Klan (with your Jim Crow plan)

Name me a handful that’s ridiculous, Dannie Richmond.
Faubus, Rockefeller, Eisenhower

Why are they so sick and ridiculous?
Two, four, six, eight: They brainwash and teach you hate.
H-E-L-L-O, Hello

Denso, lirico e viscerale: è un testo ben lontano dalla raffinata poesia con cui Abel Meeropol descriveva l’angosciante penzolare dei neri impiccati nel testo di Strange Fruit nel 1939. Sono trascorsi più di vent’anni e la rabbia è cresciuta assieme alla determinazione della comunità nera, che si prepara ad affrontare uno dei periodi più caldi della lotta per i proprio diritti. Mingus trasforma il tessuto sonoro per dare voce a questa rabbia, riportando in musica il fragore delle manifestazioni. Il brano si apre con un’invocazione al signore, tipica del gospel, che fonde forma e testo; in seguito inizia il call and response tra Mingus e Richmond, che origina una perfomance d’avanguardia attenta a esaltare gli aspetti più invettivi e satirici del testo, senza disdegnare urla e insulti che a volte coprono volutamente ogni elemento melodico e ritmico (Then he’s a fool! Nazi fascist supremists! Boo! Ku Klux Klan with your Jim crow plan). I due si scagliano trasversalmente contro il white power e contro quelle istituzioni che ne incarnano l’ideologia: il potere locale (Faubus), il potere economico-finanziario (Rockefeller) e il potere centrale (Eisenhower), tutti ugualmente colpevoli di utilizzare la questione razziale per utilità politiche personale e di fomentare così l’odio razziale. Il brano è uno dei simboli del cambiamento storico della società musicale che stava per affrontare gli anni ‘60 e Mingus è uno dei più feroci e importanti fautori di quel cambiamento. 

Oltre a Mingus Ah Um, nel 1959 uscirono Kind of Blue di Miles Davis, Moanin di Art Blakey, Time Out di Dave Brubeck, Everybody Digs Bill Evans di Bill Evans, The Shape of Jazz to Come di Ornette Coleman. Il Jazz era pronto per diventare espressione specifica dell’identità degli artisti neri a prescindere dal pubblico bianco, dai suoi gusti e capricci. Non era neanche più musica “fatta da musicisti per musicisti”, come il Bebop degli anni ’40, ma una più ampia forma di esplorazione artistica che avrebbe in futuro dato un fondamentale contributo a ogni tipo di musica pop che ascoltiamo oggi. La musica era motivo di orgoglio e fondamentale strumento per la creazione dell’identità nera e per il suo riconoscimento. Spesso la musica jazz, rock, hip-hop, techno, soul rimanda alle lotte sociali dei contesti in cui si è originato, lotte che ancora oggi non possono dirsi concluse.