Prologo. Splendida perla sul mar

Oh bella Spezia, splendida perla sul mar…“; è con queste parole che inizia il ritornello di una canzone dei Ragazzi di Migliarina, che cantano le bellezze del Golfo dei Poeti. Chiunque vi sia nato la conosce, chi frequenta lo stadio la canta ad ogni partita.

Ma La Spezia, nell’estate del ’43, non è proprio la perla sul mare della canzone. E’ un posto molto, molto pericoloso. Il suo Arsenale, ben riparato in fondo al Golfo, è la base operativa della flotta tirrenica settentrionale della Regia Marina; ad esso si affiancano la base degli Incursori al Varignano e una lunga lista di cantieri navali. Per questo motivo, la città è vittima di una serie di bombardamenti tragici, che hanno causato centinaia di vittime e cancellato il centro cittadino. L’elegante città liberty, sviluppatasi attorno alla base navale e ai suoi appalti, è durata meno di un secolo; al suo posto restano cumuli di macerie e navi semiaffondate in rada. La popolazione si è dispersa: qualcuno è andato in montagna con i gruppi partigiani, tanti sono sfollati nelle valli dell’Appennino, su fino all’Emilia. I tedeschi, che hanno un importante comando in città, non hanno intenzione di mollare la presa e rinforzano il proprio contingente. Iniziano i rastrellamenti e le deportazioni tra i civili, crescono la paura e il malcontento. Dopo l’armistizio di Cassibile la situazione, se possibile, peggiora: l’Arsenale è ora l’unico sul litorale tirrenico di cui si può servire la Repubblica di Salò e diventa obiettivo strategico per entrambi gli schieramenti. Non passano che pochi giorni tra un allarme aereo e l’altro; quando suona la sirena si deve correre per rifugiarsi nelle gallerie sotto il Colle dei Cappuccini. D’altra parte, ora, c’è un nuovo pericolo: chi non ha scelto spontaneamente di aderire all’esercito repubblichino corre ogni giorno il rischio della coscrizione obbligatoria.

La Spezia, 5 Giugno 1943. Bombardamenti sulle navi Littorio e Roma, alla fonda in Arsenale, durante l’Operazione Bellicose – Wikipedia

Tra i pochi edifici ancora in piena attività della città c’è il comando dei Vigili del Fuoco; è qui che, in un giorno di inverno, due uomini si stringono la mano. Non ci è voluto molto a trovare una soluzione che mettesse tutti d’accordo, ma Giacomo Semorile la vive come un’impresa.

È rimasto solo lui, unico dirigente a reggere le sorti dello Spezia Calcio, dopo che i tedeschi si sono portati via il presidente Perioli, subito dopo l’armistizio e l’inizio della Repubblica di Salò. Aveva pensato che probabilmente sarebbe stato saggio interrompere l’attività sportiva e congedare tutti: che senso ha giocare a calcio in mezzo alle bombe e ai rastrellamenti? Tuttavia, Semorile sapeva di dovere fare almeno un ultimo tentativo; se il campionato, come si stava ventilando da tempo, fosse veramente partito, sarebbe stata una chance per mettere al sicuro i suoi ragazzi.

La Spezia, 1943. Il centro città devastato dai bombardamenti. Da cittadellaspezia.com

La FIGC, sfollata da Roma a Venezia prima e a Milano poi, cerca effettivamente di organizzare un campionato di calcio, anche nell’intento di corroborare la macchina propagandistica dello stato-fantoccio di Salò. Già all’indomani dell’armistizio i vertici della Federcalcio si dimostrano possibilisti: “qualcosa si farà”, assicurano.  

E qualcosa si fa davvero: a Gennaio 1944 la FIGC fascista dirama un comunicato nel quale comunica la partenza di un campionato misto, aperto a squadre di ogni categoria, suddiviso in gironi regionali (Piemonte-Liguria, Emilia, Toscana, Lombardia, Veneto, Venezia Giulia e Lazio); le vincenti di ogni girone si sarebbero affrontate a loro volta in un torneo semifinale; le finaliste avrebbero potuto giocarsi lo Scudetto.

È a questo punto che troviamo Semorile, accorso al comando dei Vigili del Fuoco per fare una proposta all’Ing. Gandino, comandante del Corpo: in caso di inizio del campionato, lo Spezia avrebbe rinunciato all’attività agonistica, prestando tutti i giocatori al gruppo sportivo dei Vigili del Fuoco, che avrebbe rappresentato la città con l’impegno di restituire tutti i cartellini alla società di appartenenza dopo la fine della stagione. L’arruolamento dei giocatori nei Vigili del Fuoco come apprendisti avrebbe garantito loro l’esonero dall’obbligo di leva, e una maggiore garanzia di movimento sul territorio nazionale.

La Spezia, 1938. Un’esercitazione antiaerea dei Vigili del Fuoco nel centro cittadino. Video dell’ Ist. Luce.

Nasce così il Gruppo Sportivo del 42° Corpo VVFF La Spezia. I giocatori sono gli stessi della stagione precedente, terminata con un buon 6° posto in Serie B e una promozione sfiorata fino alla fine. Una buona squadra, non certamente al livello delle grandi del campionato; le regole speciali dovute alle contingenze belliche, tuttavia, danno una grande mano: i VVFF Spezia possono tesserare, in prestito, giocatori affiliati ad altre squadre ma impossibilitati a raggiungerle. Ecco perciò che, attirati dalla immunità della divisa, diversi giocatori di livello superiore, residenti nelle vicinanze, accettano la corte della squadra: arrivano l’attaccante Angelini e il regista Tori, entrambi viareggini ed entrambi provenienti dal Livorno vicecampione d’Italia nella stagione precedente. Viareggini sono anche il portiere Tavoletti del Genoa e l’attaccante Viani del Napoli. Completano la lista degli arrivi Sergio Persia, fratello minore del terzino Wando, Gramaglia, terzino del Napoli, e il mediano Tommaseo, spezzino, di ritorno a casa in fuga da Palermo. Allenatore della compagine è Ottavio Barbieri, confermato dall’anno precedente, leggenda vivente del Genoa degli anni d’oro e grande tattico.  

Una formazione dei VVFF Spezia. L’allenatore Barbieri indossa la divisa da ufficiale dei Vigili del Fuoco. Fonte ACSpezia.com

Le accortezze di Semorile non sono un unicum nel contesto calcistico di quella stagione: diverse squadre hanno adottato lo stratagemma dell’affiliazione con aziende del comparto bellico per salvaguardare i propri giocatori dagli obblighi di leva: così sono nati il Torino FIAT, la Juventus Cisitalia, il Novara IGDA (nato dall’affiliazione con il dopolavoro dell’Ist. Geografico De Agostini). Allo stesso modo, il calciomercato garantisce dei rinforzi di spessore a tutti: il Torino campione in carica si rinforza ad esempio con il portiere Griffanti della Fiorentina e con la leggenda Silvio Piola, vercellese della Lazio. Alla guida dei granata, come se non bastasse, arriva Vittorio Pozzo, torinese, già commissario unico della Nazionale, campione del mondo nel ’34 e ’38, vero monumento sportivo del regime. È un messaggio chiaro al campionato in partenza: il Toro è la pretendente principale al titolo, la stampa è completamente schierata dalla sua parte e tesse già le lodi della compagine, regina del calcio italico.

Una formazione del Torino FIAT 1943-44. Fonte Wikipedia

Chi pè pè, chi ne pè va a pé

Chi può può, chi non può va a piedi“, si arrangia, si dice in riva al Golfo. E i giocatori dello Spezia si arrangiano come possono per affrontare la stagione, che inizia finalmente tra il gennaio e il febbraio del ’44, con il nome di Divisione Nazionale. I neo-Vigili hanno chiesto e ottenuto di essere inseriti nel girone emiliano, a causa della difficoltà a spostarsi in Liguria e Piemonte, tra strade inagibili e ferrovie bombardate. La scelta è oculata anche sportivamente: i bianchi si trovano ad affrontare squadre meno blasonate e vincono agevolmente il proprio gironcino davanti a Parma, Fidenza, Busseto e Suzzara. Meno agevole è la logistica: per spostarsi la squadra dei pompieri ha allestito una vecchia autocisterna, modificandola con assi di legno su cui si possono sedere i giocatori. Nel frattempo La Spezia continua a subire i danni dei bombardamenti, e il vecchio stadio Picco, situato proprio a ridosso dell’Arsenale, diventa presto inagibile; la squadra è costretta a giocare le proprie partite casalinghe sul neutro di Carpi. I giocatori devono così passare altro tempo lontani dalle proprie famiglie, ma sfruttano i movimenti e la copertura dell’autobotte per contrabbandare in Emilia l’olio e il sale, uniche risorse di valore che possiedono, da scambiare al mercato nero con salumi, formaggi e altro materiale impossibile da trovare in città. Succede, ad ogni partita, che qualcuno dei giocatori salti completamente il riscaldamento per dedicarsi agli scambi. È una mossa pericolosissima, per cui si rischia la pena di morte, che si aggiunge ai pericoli già presenti nel dover affrontare la strada impervia del Passo della Cisa, in pieno inverno, a bordo di una vecchia autobotte.

Anche gli allenamenti sono un’incognita; finché è possibile ci si allena allo stadio, poi nel cortile della caserma. A volte non ci si allena proprio: se c’è un’emergenza bisogna sospendere tutto e accorrere, come pompieri, sulla stessa autobotte usata per le trasferte. In questo periodo ha il suo bel daffare anche Ottavio Barbieri, che per presiedere agli allenamenti si sveglia alle 5 di mattina per scendere a piedi da Castagnola di Framura, al confine con la provincia di Genova, fino alla stazione del paese, da dove prende il treno diretto in città. L’approdo alla seconda fase della competizione, dove i VVFF devono affrontare nuovamente il Suzzara ma anche Carpi e Modena, squadre più temibili, accende l’acume tattico del mister, che decide di sperimentare una variante del sistema da lui creato ai tempi in cui allenava il Genoa insieme a Garbutt. Per ovviare alla scarsa forma fisica dovuta alle trasferte decide quindi di schierare il maggiore dei fratelli Persia, Wando, come filtro tra la linea difensiva e il portiere, svincolato da qualsiasi compito di marcatura e con l’unico compito di rimediare ad eventuali errori difensivi. Nasceva il ruolo del libero, che avrebbe continuato a essere usato fino agli anni ’90.

Una formazione tipo dei VVFF Spezia, con Persia I ad agire come libero dietro la difesa. Wikipedia

Il meccanismo però deve essere ancora ben oliato, e lo Spezia parte male nel secondo girone, incassando le sconfitte esterne in casa di Carpi e Modena. Durante un viaggio, per di più, gli spezzini rischiano grosso quando il loro camion si ferma in panne a bordo strada, al buio, venendo tamponato da un autotreno in corsa. Qualche contusione e un carico di uova che non arriveranno mai in Liguria saranno, fortunatamente, gli unici danni.

Dopo aver liquidato il Suzzara la squadra si prepara a ribaltare le due sconfitte nelle gare di ritorno per giocarsi un posto alle finali regionali, ma a questo punto è la fortuna a dare una mano alla truppa di Barbieri: il Modena perde a tavolino le partite finora disputate per irregolarità con un tesseramento, e rinuncia poi alla trasferta con i VVFF. Anche il Carpi dà forfait, e la classifica si ribalta. I bianchi vincono il girone e sono qualificati alla finale regionale; si va a Bologna.

Sergio Angelini racconta le trasferte sull’autobotte. Da Spalti di Guerra, documentario di Rai Storia.

La partita di andata si disputa nella città felsinea. Il pubblico è numeroso, il Bologna è costretto a giocare in 10 per alcune carenze di organico ma i bianchi non riescono ad approfittare. La partita si intesisce, scoppiano un paio di risse che vengono sedate con espulsioni da entrambe le parti. Quando mancano pochi minuti alla fine della gara Viani serve Rostagno tra le linee, controllo e gol per lo Spezia. I giocatori bolognesi protestano per un presunto fuorigioco, ma l’arbitro convalida. Scoppia una nuova rissa, a cui segue un’invasione di campo del pubblico bolognese inferocito. Vola di tutto, i giocatori scappano negli spogliatoi e l’arbitro interrompe la partita. Qualche giorno dopo, la Federazione assegna ai VVFF Spezia la vittoria a tavolino per 2-0. La partita di ritorno viene posticipata di una settimana, ma il Bologna, un po’ per protesta, un po’ perché tra squalifiche, infortuni e giocatori alla macchia è sempre più fragile, decide di rinunciare. I Vigili del Fuoco della Spezia, Liguria, sono i nuovi campioni emiliani.

En po’ pe’ ün i ne fa mao a nissün

È arrivata la fine di giugno del 1944; mentre sui campi del nord si giocava, gli alleati risalivano la penisola facendo a gara per chi dovesse liberare Roma. Il 4 giugno è il comandante Clark della 5a Armata Statunitense ad entrare in città per primo. Il feldmaresciallo Kesserling decide di ritirarsi a nord e assestarsi sulla Linea Gotica, che corre per 300 km tra gli appennini, tagliando in due la penisola da Massa a Pesaro. I tedeschi terranno le difese per quasi un anno, tra il ’44 e il ’45, il più difficile per l’Italia in guerra. Le squadre romane e toscane, a questo punto, rinunciano al torneo.

Rimangono solo il Venezia, vincente del proprio girone e dello spareggio contro l’Ampelea campione del Venezia Giulia, e soprattutto il Torino, che si è sbarazzato sulla sua strada di Genoa, Juventus e Ambrosiana. La squadra di Pozzo è stata uno schiacciasassi fino a quel momento: ha collezionato vittorie segnando raffiche di gol, è considerata a ragione la favorita per la vittoria finale e continua ad essere un importante veicolo di propaganda del regimetto. È una squadra che ha già vinto, e che lo farà ancora: la maggior parte dei giocatori di quella stagione saranno gli stessi che daranno vita immediatamente dopo all’epopea del Grande Torino. La Federcalcio decide le date delle finali: si giocherà a metà luglio, sul campo neutro di Milano.

9 luglio 1944. All’Arena Civica la prima partita in programma è Venezia – VVFF Spezia. Il cielo è sereno, la giornata calda. Gli spalti sono semideserti, la paura dei rastrellamenti è diventata una costante. Il Venezia è un’ottima squadra, la partita è imprevedibile.

La Copertina del Calcio Illustrato, 13 luglio 1944. Bani in presa alta, sullo sfondo l’Arena semideserta. Da calciovenezia.com

Gli uomini di Barbieri arrivano al campo in condizioni disastrate: le divise bianche (di lana, a maniche lunghe: c’è solo quel completo lì, lo stanno usando dall’inverno precedente) bruciacchiate e sporche di fuliggine. È successo che durante il viaggio per Milano un acquazzone estivo sorprendesse i liguri, che viaggiavano sul solito furgone cisterna, ora scoperto, e li inzuppasse dalla testa ai piedi. Alla caserma locale dei pompieri, per asciugare i completi, si accendono le stufe. Si mangia e si beve, e le maglie rimangono lì; quando ci si accorge di quello che sta succedendo ormai il danno è fatto: le bianche casacche sono diventate color cenere.

I lagunari forse si fanno distrarre dai dettagli estetici e lo Spezia passa in vantaggio a metà del primo tempo con Tori. A questo punto i bianchi dimostrano di aver capito gli insegnamenti di Barbieri: tutti chiusi dietro, il libero Wando Persia a sbrogliare le situazioni ingarbugliate, Tommaseo in mediana a mordere le caviglie di Petron, regista del Venezia. Alla ripresa lo Spezia cala di ritmo e il Venezia pareggia con Astorri. La marcatura di Tommaseo diventa insostenibile per Petron, che potrebbe essere l’uomo in più dei lagunari, ma che, all’ennesima palla contesagli dal mediano, esasperato si gira e gli tira un pugno. L’arbitro vede tutto: Venezia in 10, pericolo disinnescato, partita che finisce in pareggio. Un po’ per uno non fa male a nessuno.

Mario Tommaseo e il pugno di Petron. Da Spalti di Guerra, documentario di Rai Storia.

Ai cativi mainài tüti i venti i en contrai

Il Torino, a questo punto, sente di avere la strada spianata. Vittorio Pozzo decide di partire per Trieste e giocare una partita amichevole con la rappresentativa del Venezia Giulia subito prima delle finali: il viaggio diventa però un’impresa che porterà via diversi giorni di riposo ai calciatori e li farà tornare alla base stanchi e demotivati. Nel frattempo anche i Vigili del Fuoco hanno i loro problemi: Barbieri decide il ritiro a Brescia, nella caserma locale, pensando di essere al sicuro dalle bombe, che sulla lì non sono mai cadute. Mai fino a quel momento: una notte la città è sconvolta dai bombardamenti, i giocatori sono tutti salvi ma qualcuno si perde d’animo. Angelini e Tori vogliono tornare a casa ad avvertire le famiglie e partono la mattina stessa, altri sono sul punto di abbandonare la nave. Barbieri è uomo d’altri tempi e condottiero scafato, riesce a far mantenere la calma ai suoi. D’altronde, da uomo di mare, sa bene che per i cattivi marinai non ci sono venti favorevoli. Ci crede più di tutti, Ottavio Barbieri: manca una sola partita, i suoi ragazzi sono ordinati, degli ottimi marinai; forse un po’ di vento in poppa se lo ritroveranno anche se davanti ci sarà lo scoglio del Grande Torino. La tenacia e la fortuna li hanno portati fino alla fine, bisogna provare. La squadra continua gli allenamenti, i due fuoriusciti tornano di corsa da Viareggio giusto alla vigilia del match. Ci sono di nuovo tutti.

16 luglio, all’Arena Civica di Milano va in scena VVFF Spezia – Torino. Sono passati giorni di allarmi aerei su Milano, ma la giornata limpida non scoraggia un buon numero di appassionati che vogliono vedere giocare i fortissimi granata. Si gioca alle 15 con un caldo impensabile. I VVFF Spezia si schierano con Bani, Persia I, Borrini, Amenta, Gramaglia, Scarpato, Rostagno, Tommaseo, Angelini, Tori, Costa. Il Torino risponde con Griffanti, Cassano, Piacentini, Loik, Ellena, Gallea, Ossola, Piola, Gabetto, Mazzola, Ferraris II. Appena prima del match, Vittorio Pozzo si fa sentire mentre dice che al terzo gol i suoi avrebbero potuto fermarsi; i giocatori spezzini, provocati, scendono in campo con il sangue agli occhi e inaspettatamente fanno la partita.

Tommaseo ricorda l’incontro prepartita con Pozzo.

Vantaggio di Angelini che insacca sotto l’incrocio su passaggio di Costa, il Toro è scosso ma superiore, pareggio quasi immediato di Silvio Piola. Lo Spezia rimane ordinato, il portiere Bani è sugli scudi in diverse occasioni finché Angelini, ancora lui, approfitta di uno svarione difensivo che lo lascia da solo davanti a Griffanti. Pallone da una parte, portiere dall’altra, 2 a 1. Finisce il primo tempo in modo impensabile; il vento buono, i giocatori del VVFF Spezia, se lo stanno andando a cercare a modo loro.

Una fase di gioco all’Arena, con Bani in anticipo su tutti. Fonte UNVS Liguria.

Negli spogliatoi Barbieri è preoccupato, il suo spauracchio più grande è Valentino Mazzola. Sa che i suoi caleranno e sa che c’è un solo modo per mantenere il vantaggio: catenaccio a oltranza. Chiama Tommaseo, il mediano, uno dei più giovani del gruppo: “Lei” gli dice, “deve mettersi in testa di seguire Mazzola per tutto il campo, senza farlo respirare. Lo segua anche al gabinetto se è necessario”. Lui esegue: tutte le volte che il fantasista granata riceve palla se lo trova alle spalle, pronto a contrastarlo con le buone o le cattive.

La generosità di Tommaseo ha un prezzo alto: durante un contrasto il mediano si frattura un piede, il medico gli consiglia di non togliersi la scarpa per continuare a giocare senza che si gonfi. Il pressing del Torino cresce di intensità, ma la gabbia spezzina funziona. Quando qualcuno riesce a tirare ci pensa Bani, in stato di grazia. L’infortunio non impedisce a Tommaseo di contribuire alla fase offensiva, e durante un contropiede è lui a trovarsi davanti al portiere per il colpo del KO. Ne esce una conclusione velleitaria, Griffanti para. Sul ribaltamento di fronte la palla arriva a Mazzola, che finalmente libero dalla marcatura si gira e sgancia una bordata dal limite. Bani questa volta è impotente, ma il pallone si abbatte sulla traversa. Il vento, i bianchi, ormai ce lo hanno in poppa. È l’ultima occasione, poco dopo la partita termina; 2 a 1 per i Vigili del Fuoco. Vittorio Pozzo si reca negli spogliatoi per rendere omaggio ai propri avversari, ancora increduli per l’impresa.

Una ripresa dall’alto della finale, con l’Arena in condizioni disastrose. Fonte contra-ataque.it

Non c’è tempo per le celebrazioni: la squadra riparte in fretta e furia verso il Golfo, pare che ai tedeschi sia arrivata la voce dei soliti traffici alimentari, meglio cambiare aria. Il giorno dopo, mentre si trovano in Emilia sulla via del ritorno, arriva la notizia: il Torino ha battuto il Venezia per 5-2. Il Gruppo Sportivo del 42° Corpo dei Vigili del Fuoco è Campione d’Italia. Ottavio Barbieri e i suoi l’hanno fatta grossa. Al ritorno in città si festeggia come si può: c’è chi regala un sacco di farina, chi qualche uovo, una penna, un sacco di patate; piccoli regali per celebrare una vittoria che è l’unica gioia di una città stremata.

L’euforia dura poco: il giorno seguente la Federazione fa un passo indietro clamoroso e rinnega l’ufficialità del campionato. Lo Scudetto non viene assegnato e rimane al Torino, campione nella stagione precedente. Ai VVFF Spezia viene data una misera coppa federale, con Barbieri, Semorile e Gandino liquidati in fretta e furia alla sede milanese della Federazione. L’ingiustizia è enorme, ma non c’è tempo e modo di preparare un ricorso: ad agosto arriva in città l’Armata Liguria del boia Graziani per contrastare i sempre più forti movimenti di resistenza, tutti hanno parenti coinvolti nel conflitto e ci sono cose più importanti a cui pensare.

Il Lavoro, 20 luglio 1944.

La squadra dei VVFF Spezia, dopo essere stata campione d’Italia per un giorno, cessa la sua attività. Per partecipare alla Serie B dell’anno seguente lo Spezia, senza una lira, dovrà fondersi con l’Ausonia, altra squadra cittadina. Ottavio Barbieri rimane in panchina; morirà nel ’49, lo stesso anno in cui finirà tragicamente anche l’epopea del Grande Torino, che dopo il ’44 sarà imbattibile per cinque stagioni. Alcuni dei Vigli diventeranno leggende del calcio cittadino, come Giovanni Costa che detiene tutt’ora il record di gol segnati con la maglia bianca. Lo Spezia non disputerà mai più un campionato di massima serie.

Epilogo. Lo scudetto di Grisù

L’anno è il 2000 o il 2001. È inverno, anche se si gioca alle 15 i riflettori sono già accesi. Il vecchio stadio Picco è ancora lì, piccolo e inospitale, come 60 anni prima, schiacciato tra la collina dei Buggi e l’Arsenale. La città è rinata dopo la guerra, cambiata per sempre. Ricostruita in fretta e furia da palazzinari poco attenti agli estetismi, i vecchi edifici liberty hanno lasciato il posto al brutalismo dei ’50. C’è una nuova cattedrale sulla spianata di Piazza Europa, sembra un disco volante parcheggiato lì a guardia del porto. Lo stadio, invece, è quasi uguale a prima. C’è ancora l’ingresso monumentale, c’è ancora la tribuna degli anni ’20. C’è una nuova curva per il tifo locale, ricorda goffamente quelle del Velodrome di Marsiglia. Da lassù si riescono a vedere le navi militari nei bacini di carenaggio, appena oltre il muro.

La Curva Ferrovia fotografata dall’Arsenale. Dagli archivi di Spezia io t’amo, fb.

Si gioca, al vecchio Picco della Spezia. Bianchi contro giallo-blu. Spezia – Carrarese, da queste parti, è LA partita. Dal settore ospiti srotolano uno striscione che sortisce subito l’effetto sperato, si incazzano tutti. Dice: “Lo scudetto di Grisù non ve lo danno più”.

Io ho una decina d’anni ed è una delle prime volte che mi portano in curva; Grisù lo conosco appena, so che è un draghetto che vorrebbe fare il pompiere. Non capisco altro, chiedo, mi raccontano. È successo che lo Spezia ha una nuova società, una bella squadra, gioca bene; l’anno prima ha vinto la C2 senza mai perdere una partita. La dirigenza ha pensato che il modo migliore per celebrare il periodo fosse chiedere il riconoscimento dello Scudetto dimenticato. A crederci più di tutti è un giornalista locale, Alberto Pandullo, che dopo aver smosso mari e monti riesce a far riaprire il caso in Federazione. Nel momento in cui si gioca la partita la società è in attesa di una delibera.

Spezia – Carrarese, stagione 2000-01. Grazie ad Andrea, che ha scovato questo reperto dove io non avrei potuto.

In realtà passa ancora tempo, arriva il 2002. Finalmente la Federazione si esprime: non uno Scudetto, ma un titolo onorifico, e la possibilità di portare sulle maglie una toppa celebrativa, un ovale tricolore su cui campeggia la Coppa Federale dei calciatori pompieri. Non quello che si sperava, ma gli spezzini sanno accontentarsi, la festa si celebra.

Mario Tommaseo alle celebrazioni per il titolo, La Spezia, 2002. cittadellaspezia.com

Mario Tommaseo, che ha marcato Mazzola con un piede fratturato e poi è diventato cantante lirico, è l’unico superstite della compagnia. È lui che durante le celebrazioni solleva la nuova maglia, con lo scudetto perenne in bella vista. Uno scudetto che non vale niente, ma che ricorda che, nell’estate di bombe del ’44, una squadra di pompieri, con la maglia non più bianca, ha vinto il proprio posto nella storia del calcio.