A cura di Francesco Chirico

Minuta, posata, riflessiva, Catherine Destivelle è l’opposto di quello che ci si immagina pensando alla parola “forza”. A vederla arrampicare o scalare pareti pare che non faccia sforzi, ogni movimento è leggero, pensato, pura concentrazione e gioco di equilibrio. Eppure, Catherine ha un palmarès impressionante che ad oggi non ha eguali, tra le grandi Nord delle Alpi in solitaria, il Karakorum e l’Antartide. Il riconoscimento alla sua carriera segue nomi come quelli di Wieleki, Stremfelj, Diemberger, Messner e Bonatti.

È la foresta di Fontainebleau a dare le prime nozioni di arrampicata a Catherine Destivelle, nata in Algeria nel 1960 da genitori francesi e cresciuta poi molto vicino a Parigi. Da lì in avanti la roccia diventa presenza costante nella vita di Catherine, che negli anni ‘80 è la vera e propria star dell’arrampicata sportiva. Vince le prime tre edizioni di Sportroccia, sempre col sorriso stampato in faccia e il tipico abbigliamento anni ‘80, con fuseaux e canottiere fluo. Alzando l’asticella del livello agonistico femminile nell’arrampicata, Catherine riesce nell’intento di dimostrare che le donne sono in grado di arrampicare e fare alpinismo al pari degli uomini.

Catherine Destivelle apre la via Pichenibule, in Verdon (1987). ©Catherine Destivelle – Facebook

L’arrampicata sportiva è bella e competitiva, ma non è niente in confronto alle grandi pareti di roccia o agli 8000 metri Himalayani. La Destivelle si sposta dai solidi spit alla precaria arrampicata tradizionale, prima sulle vicine Alpi, poi in lungo e in largo per tutto il globo. Le ripide pareti delle Gorge du Verdon vedono l’apertura della via Pichenibule, da parte della cordata tutta femminile Destivelle-Dalmasso. Qui l’arrampicata si fa più aleatoria, con meno protezioni e non più monotiri da 30 m, ma vie di più tiri (multipitch) che risalgono le pareti della gola.

Da qui l’arrampicata sportiva già si allontana, ma è sul Monte Bianco che inizia la vera carriera alpinistica. In sole 4 ore, Catherine Destivelle ripete la via Bonatti al Petit Dru, è la prima solitaria femminile. Poi, sullo stesso pilastro passerà 11 giorni da sola per aprire una nuova via tutta sua.

©Catherine Destivelle – Facebook

Sono gli anni ‘90 e dal Bianco si passa alle tre grandi pareti nord alpine: la nord dell’Eiger nel 1992, la via Cassin sullo Sperone Walker nel 1993 e la via Bonatti sul Cervino nel 1994.
Catherine è la prima donna a salirle in solitaria e in invernale, completando così la “trilogia” e abbattendo definitivamente la divisione di genere, dimostrando che l’alpinismo è uno sport per tutti. Nel ‘99 si sposta sulle Dolomiti, per la salita, ancora una volta in solitaria, della via Hasse-Brandler sulla parete nord della Cima Grande di Lavaredo.

In quegli anni prende parte anche a spedizioni extra-europee. Nel 1990 vola in Pakistan per la seconda salita in libera della Via Slovena alla Nameless Tower (Torri di Trango). Arrampica con Jeff Lowe, lo stesso con cui tenterà la cresta nord del Latok I.
Da lì in avanti sarà Erik Decamp a legarsi a lei e insieme saliranno lo Shishapangma (1994) come acclimatamento per un tentativo all’Annapurna.
Nel 1996 i due si spostano in Antartide, per la prima salita alla parete sud del Peak 4111 (in Antartide non ci fu nessuna popolazione locale a dare nomi fantasiosi alle cime). A causa di una frattura ad una gamba, per Catherine la spedizione si interruppe lungo la discesa dal Peak 4111.

Catherine Destivelle sullo Shisha Pangma (1994) ©Catherine Destivelle – Facebook

Catherine tiene molto alla parità tra uomini e donne nell’alpinismo, un ambiente storicamente maschile, tanto che quando le è stato chiesto quale fosse la sua motivazione per andare a ripetere la via Bonatti al Petit Dru, rispose che voleva semplicemente salire la via Bonatti.

La via era già stata ripetuta da altri, non ancora da una donna, ma questo non conta.. Io volevo solo scalare.

Dagli anni 2000 Catherine sposta la sua carriera sui libri, fondando la sua casa editrice, che non poteva che chiamarsi Les Editions du Mont Blanc, dedicata alla letteratura di montagna di qualità, pubblicando testi – citando le sue parole – «di scrittori-alpinisti più che di alpinisti che scrivono». Il suo obiettivo è sviluppare una letteratura che possa ispirare i giovani e avvicinarli al mondo dell’alpinismo e della scoperta della montagna.

Non c’è più niente per i giovani, e trovo che sia un vero peccato, nonostante esistano testi che fanno sognare. Da piccola vedevo le foto di Gaston Rebuffat e mi facevano sognare. E un peccato che i giovani non abbiano dei modelli o delle storie che li invitino a scoprire le montagne.

Passando dall’arrampicata sportiva all’alpinismo, Catherine Destivelle ha spesso dovuto confrontarsi con rischi e pericoli oggettivi, come valanghe o grossi distacchi roccia, che non si possono controllare, ma al massimo cercare di evitare. Per riuscire a realizzare una carriera alpinistica come la sua, si deve avere un’idea molto precisa di quali sono i rischi in gioco. Se si sopravvalutano non si riuscirà ad arrivare in cima ad un 8000 himalayano, o a scalare in solitaria sul rosso granito del Monte Bianco; se si sottovalutano, potrebbe essere ancora peggio..

Catherine Destivelle con i tipici colori fluo degli anni 80, e il sorriso della prima star dell’arrampicata. ©Catherine Destivelle – Facebook

Catherine questo limite lo ha ben chiaro, e in una recente intervista ha formulato un prezioso consiglio per le nuove generazioni:

Conoscere sé stessi e le proprie capacità; se non si è capaci di fare questo, men che meno saprà farlo la “montagna”, ed in situazioni di pericolo saremo i soli artefici della nostra sorte. Non esiste montagna cattiva o montagna buona; ci sono uomini che hanno il senso del proprio valore, della propria misura e uomini che, invece, vogliono vedere nello specchio quello che in realtà non sono, salvo poi scoprire quello che realmente sono quando ormai è troppo tardi.

Catherine Destivelle al al Trento Film Festival 2008