A cura di Francesco Chirico

Le origini

Kukula ha le radici storiche al Politecnico di Milano, in un gruppo di studenti di Ingegneria Ambientale che iniziano a pensare a futuri progetti nei paesi in via di sviluppo. Fino alle lauree se ne parla, ma di concreto c’è ancora poco. 
Dopo la laurea, Andrea Scialabba, classe 1989, parte per il Madagascar, con altre associazioni di volontariato. Durante i mesi di volontariato inizia ad accorgersi che non è impossibile realizzare progetti di sviluppo sostenibile, e le idee nate al Politecnico iniziano a prendere forma. Nel frattempo però, si accorge anche che le associazioni non erano per nulla integrate con la popolazione locale, quindi cancella il volo di ritorno e continua a stare in Madagascar ancora un po’, stavolta vivendo con la popolazione locale. Impara la lingua – facile, dice – e ascolta chi vive lì, quali problemi ci sono, quali sono le tradizioni e le abitudini. Una delle cose che stupisce di più Andrea, è che dopo secoli di colonizzazione francese, finita solo nel 1960, è rimasto impresso come un dogma nella cultura locale che l’uomo bianco è superiore, più intelligente e più ricco.

Crescere

Al ritorno in Italia ci sono molte idee, ma bisogna metterle insieme e renderle realizzabili. Si riuniscono solo in pochi del gruppo originario, quelli convinti e decisi a fare sul serio. Come prima cosa tornano al Politecnico, e chiedono consigli e supporto ad alcuni professori del dipartimento di Ingegneria Ambientale. Renato Casagrandi e Paco Melià risultano da subito entusiasti e tuttora collaborano con Kukula per progetti con studenti del Politecnico.

Mentre si discute dei progetti si delineano meglio anche le linee guida alla base di Kukula. Si vuole andare assolutamente contro il classico modello in cui l’uomo bianco porta le tecnologie senza la conoscenza, e vincola le popolazioni locali ad una strumentazione che non è in grado di manutenere. Non si vuole nemmeno portare abitudini diverse dalle loro, e anzi Kukula inizia a progettare proprio sulla base dai racconti e dalle necessità dei malgasci. 

L’area dove opera Kukula. ©Kukula

Il Madagascar vuole essere solo un inizio, e appena i malgasci saranno indipendenti dalle conoscenze di Andrea e degli altri membri di Kukula, sarà ora di partire per altri progetti. È per questo che come nome dell’associazione non è stata scelta una parola malgascia, ma una parola del Chichewa, una lingua subsahariana della famiglia Bantu: Kukula, che significa “crescere”.

I progetti

Per portare dei miglioramenti concreti, senza stravolgere la vita delle persone, Kukula sta portando avanti tre progetti di sostenibilità: Zero carbon, Sentimento agricolo e Tree hugs

Il primo (Zero Carbon) riguarda il miglioramento delle tecnologie di cucina, che al momento consistono semplicemente nella fiamma viva, alimentata a legna e carbone. Con le stufe pirolitiche che studia Marco Tizzoni, la combustione avviene invece in maniera più controllata, diminuendo di molto i rischi per la salute da esalazioni di monossido di carbonio, e aumentando l’efficienza. Le stufe sono state ideate con l’idea di costruirle a mano e con pochi strumenti, in modo che i malgasci riescano ad imparare senza problemi come si costruiscono e come si riparano, diventando poi indipendenti. 

A sinistra i metodi tradizionali di cottura, a destra le prime prove di utilizzo delle stufe pirolitiche. ©Kukula

Con le stufe pirolitiche, oltre a non respirare più monossido di carbonio, diminuirà il tempo da dedicare alla ricerca del combustibile, perché ora il processo è più efficiente. 

Questo tempo si potrà investire in altro, come nella coltivazione degli orti del progetto Sentimento agricolo. Vivendo con la popolazione locale, Andrea ha scoperto che la loro alimentazione è costituita quasi totalmente da riso. Nelle zone rurali come Nosy Mitsio (sede dei prossimi progetti di Kukula), questo viene coltivato solo nei mesi tra gennaio e marzo, stagione delle piogge. In altre zone, il riso viene acquistato dalla Grande Terre – il continente – a prezzi decisamente elevati per le popolazioni locali. Quando possibile, si pesca e si allevano polli e zebù, che apportano proteine alla dieta. Intervenire sull’agricoltura locale è una questione molto delicata, perché si rischia di modificare delicati equilibri che si erano creati nei secoli tra l’uomo e la terra. Se poi si cerca anche di modificare l’alimentazione, si va incontro a questioni culturali. Per questo Kukula – con il progetto Sentimento Agricolo – ha scelto di fare degli orti in cui si coltivano sia cose che i malgasci già mangiano, sia vegetali da vendere ai ristoranti. Al momento ci sono una serie di orti che Kukula ha realizzato insieme ai Malgasci, che rappresentano un primo esperimento da consolidare e replicare.

Gli orti realizzati con le tecniche di agricoltura sinergica dal team di Kukula. ©Kukula

Il terzo progetto (Tree Hugs) riguarda la questione della deforestazione: in un contesto poco strutturato e di sussistenza, manca l’attenzione ai tempi degli alberi. 

Con poche nozioni basilari di selvicoltura, si possono evitare grossi danni all’ecosistema, e ottenere il meglio dai boschi. Il metodo “slash-and-burn”, utilizzato dagli agricoltori locali, consiste nel disboscamento e nell’incendio di vaste aree forestali per ricavare aree agricole, ed ha avuto il maggior impatto negativo su foreste e biodiversità.

I malgasci usano già il legno per edilizia e come combustibile, quindi si tratta solo di gestire al meglio le risorse. Nelle aree già disboscate, Kukula sta portando avanti un meticoloso lavoro di riforestazione, con diverse specie di alberi. Con la popolazione, si è capito che per le costruzioni ha senso continuare a coltivare il Teak, legno pregiato da utilizzare e anche da vendere. In questo modo si evita di distruggere la foresta primaria, che per l’80% è stata distrutta per far spazio a coltivazioni e abitazioni.

Affianco al Teak, alberi da frutto costituiscono un’ottima soluzione per sia per la legna da ardere, che per il sostentamento. Anche in questo caso si è scelto di piantare sia frutta già presente nella dieta malgascia, sia frutta da vendere ai ristoranti.

Una volta cresciute a sufficienza, le piante vengono piantumate e possono dare vita a nuove foreste. ©Kukula

Ad oggi Kukula è composta da 10 persone (la maggior parte ingegneri ambientali), di cui 3 lavorano a tempo pieno per l’associazione. Tra progetti, bandi, collaborazioni con Politecnico di Milano e di Torino, i fondi ci sono e Kukula sta in piedi senza problemi. Il Madagascar è solo un inizio, Andrea non vede l’ora di portare Kukula in aree anche lontane dal mare, che da buon siciliano vorrebbe non vedere per un po’. 

The Pitch racconterà Kukula a partire dai tre progetti in atto, tramite le stesse voci dei soci fondatori, e seguirà l’associazione nei suoi sviluppi, dentro e fuori da Madagascar.

Sono già in atto i preparativi per i progetti ASP (Alta Scuola Politecnica) e Tany Vao, che Kukula svilupperà nei prossimi due anni.