Oggi, Serie A e Serie B non contano nessuna squadra siciliana tra le 40 che si sono presentate ai nastri di partenza della prima stagione post-Covid. Eppure, solamente nella Anni ’00, Palermo, Catania e Messina spopolavano nella massima serie, scrivendo pagine storiche di alcune delle più belle rivalità campanilistiche del nostro campionato. Tanto che la stagione 2006/2007 è stata la prima, nonché ancora l’unica, ad aver visto disputare tutti e tre i derby.

In particolare, la sfida tra Catania e Palermo è considerata – a livello di sicurezza – una delle più a rischio dell’intera penisola. A surriscaldare ulteriormente un derby di per sé già rovente, c’è la situazione di classifica che vede lottare per un posto europeo le due compagini. Così, venerdì 2 febbraio 2007, allo Stadio Angelo Massimino, i rossoblu ospitano i “cugini” rosanero per inaugurare la terza giornata del girone di ritorno. È l’inizio del weekend che culmina con la festa della santa patrona cittadina: Sant’Agata. Per questo motivo, qualche giorno prima, l’allora sindaco catanese Umberto Scapagnini, preoccupato che la sovrapposizione dei due eventi avesse potete creare problemi di ordine pubblico, aveva richiesto al Ministero dell’Interno di disporre il rinvio della gara. Dopo l’iniziale ipotesi delle 15:00 come orario del calcio d’inizio, la Lega Calcio aveva optato per le 18:00.

Un derby ed una data, quella del 2 febbraio 2007, passati alla storia non per le cronache del campo, ma piuttosto per quanto avvenuto all’esterno dello stadio. Un impianto sportivo trasformato a teatro di battaglia, a luogo di guerriglia in stile G8 di Genova, protrattosi per lunghe ore anche dopo il match. Le immagini, trasmesse in diretta da Sky, mostrano il fumo rosso dei fumogeni ed una nebbia che nasconde e lascia intravedere gli scontri tra ultras e polizia. Lo sgomento per le scene da guerra civile, però, lasciano improvvisamente il posto alla gelida notizia della morte dell’Ispettore Filippo Raciti.

Le immagini di SkyTg24 in diretta da Catania, 2 febbraio 2007.

Ad ammazzare il poliziotto in servizio allo Stadio Massimino di Catania, almeno secondo quanto stabilito – nel novembre del 2012 – dalla sentenza definitiva della Cassazione (l’ultimo grado della Giustizia italiana), è stato Antonino Speziale, all’epoca dei fatti 17enne, con il lancio di un sottolavello in acciaio strappato dai bagni della curva nord, che avrebbe colpito l’Ispettore Raciti ad un fianco provocandogli una lesione al fegato. Ad aiutare l’ultras minorenne ci sarebbe stato anche un ragazzo 23enne: Filippo Micale. Sia Speziale che Micale sono stati condannati ad una pena detentiva: rispettivamente, 9 e 11 anni di reclusione. Ma è interessante notare l’anomalia per cui l’esecutore materiale ha ricevuto una pena più bassa rispetto a colui che l’ha aiutato.

Il 15 dicembre 2020, Antonino Speziale termina di scontare la sua pena a 8 anni e 8 mesi per omicidio preterintenzionale e torna ad essere un uomo libero. Ad accogliere l’ormai 30enne ultras del Catania, fuori dal carcere Gazzi di Messina, ci sono il padre ed un gruppo di ultras messinesi che, da grandi rivali dei rossoblu, non hanno mancato di far sentire il loro sostegno a colui che in tanti, nel mondo del tifo organizzato, considerano vittima di un errore giudiziario.

3 maggio 2014, finale di Coppa Italia. La sfida tra Fiorentina e Napoli è passata alla cronaca per quanto avvenuto fuori dallo stadio e sugli spalti. Dopo la morte di Ciro Esposito la curva partenopea, per mano del suo capoultras “Genny a carogna“, esige che la partita non sia giocata. – Fonte: YouTube

La mia condanna è stata un’ingiustizia e chi ha sbagliato pagherà

Antonino Speziale, 15 dicembre 2020.

Le parole che Speziale ha rilasciato all’uscita dell’istituto di pena riprendono la tesi a lungo sostenuta dal suo legale, l’avvocato Giuseppe Lipara, il quale ha sempre ribadito l’innocenza del suo assistito. Restano, infatti, alcune zone d’ombra sulla vicenda, nonostante siano passati 13 anni ed i tre gradi della Giustizia italiano abbiano definito la verità giudiziaria. La ragione di questi “ragionevoli dubbi” sta tutta all’interno della vicenda processuale. A partire dalle dichiarazioni di Salvatore Lazzaro, un collega di Raciti anche lui in servizio il pomeriggio del 2 febbraio 2007, che, ascoltato in Questura come persona informata dei fatti, ha dichiarato di essersi messo alla guida di un Land Rover Discovery della Polizia nel corso degli scontri, di aver fatto retromarcia, di aver sentito «una botta» e di aver visto l’Ispettore Raciti – situato alla sinistra del mezzo – «portarsi le mani alla testa», per poi essere soccorso e trasportato in ospedale, dove morirà poco dopo le ore 22:00.

Foto dell’Ispettore Filippo Raciti.
© Polizia di Stato / Wikimedia Commons

La tesi dell’avvocato Lipara, per cui Filippo Raciti sia stato ucciso dal “fuoco amico”, mette in relazione la morte dell’Ispettore con le parole del collega Salvatore Lazzaro. Un nesso confermato anche nel corso delle indagini: è quanto emerso dalla perizia effettuata dai Carabinieri del RIS di Parma che, dopo aver riprodotto numerose volte la dinamica dell’incidente, hanno dichiarato «l’inidoneità» del sottolavello come arma del delitto «con maggiore probabilità». Un esito che porta il GIP, Alessandra Chierego, a disporre l’immediata scarcerazione di Speziale, già in carcere con l’accusa di omicidio. 

La domanda che, a quel punto, sorge spontanea è: se non è stato il sottolavello, come è morto l’Ispettore Raciti? Un quesito che si pongono anche i giudici della Corte di Cassazione che, nel corso delle indagini preliminari, annullano l’ordinanza di custodia cautelare ai danni di Speziale, lasciando intendente (nella sostanza) che, a loro giudizio, gli elementi in mano alla Procura non sarebbero stati sufficienti nel corso del processo. A questo si aggiunge, poi, il fatto che non esiste una testimonianza, un video o una fotografia in grado di dimostrare, oltre qualsiasi ragionevole dubbio, che sia stato proprio il sottolavello lanciato da Speziale ad uccidere l’Ispettore.

Considerati gli elementi in mano alla procura, quella del processo sembra la strada meno praticabile. Ma la strategia messa in atto dal Pubblico Ministero, che derubrica il capo d’imputazione da omicidio volontario a preterintenzionale (in cui l’imputato ha commesso un reato più grave di quanto fosse nelle sue intenzioni), gli permette di riuscire a portare il giovane ultras etneo davanti ad un giudice.

Antonino Speziale ed il suo avvocato, Giuseppe Lipara. – Fonte: Facebook

Una volta arrivati in aula non mancano però i colpi di teatro, che renderanno la vicenda ancor più intricata. A partire dalla “parziale” ritrattazione di Salvatore Lazzaro, il poliziotto alla guida del Discovery, che di fronte ai magistrati ripete una versione diversa da quella esposta in Questura due giorni dopo gli scontri del Massimino. Lazzaro sostiene di aver sentito «un boato», e non «una botta», aggiungendo che Raciti non si trovava alla «sua sinistra», ma «dolorante a dieci metri di distanza». Due piccoli cambiamenti, che lasciano però intendere come la causa dell’omicidio sia da ricercare nel “boato” e non nello scontro con il fuoristrada della Polizia in retromarcia, impossibile se l’Ispettore si trovava a dieci metri di distanza. A questo si aggiunge la controperizia prodotta dalla Scientifica di Roma che contesta (più nel metodo nel merito) la prima rilevazione effettuata dal RIS di Parma. Elementi di poca chiarezza, ma che bastano a convincere i giudici della colpevolezza di Antonino Speziale e del suo aiutante Filippo Micale.

E se Speziale ha scontato per intero la propria pena, vedendosi rigettare sia la richiesta di detenzione domiciliare per motivi di salute (marzo 2019) che quella di una revisione del processo, Micale – che all’epoca dei fatti aveva 23 anni – è tornato in semilibertà già poco prima del Natale del 2018, dopo aver scontato più della metà della condanna.

Tutto era cominciato già nel corso della partita, con i tifosi del Palermo che erano riusciti ad accedere allo stadio solamente intorno al 10’ minuto del secondo tempo, a causa di problemi organizzativi, perdendosi il gol del vantaggio rosanero firmato da Caracciolo. In pochi minuti la confusione aveva iniziato a regnare sovrana, con il lancio di fumogeni e petardi che aveva reso impraticabile il campo da gioco, costringendo l’arbitro Farina a sospendere il match per oltre 40′ minuti. Alla ripresa della gara, migliaia di spettatori seduti sulle tribune si godevano il derby ignari degli scontri che si stavano verificando nei pressi dell’impianto, che sarebbero proseguiti per diverse ore, e avrebbero segnato indelebilmente la mente del mondo calcistico italiano.

Striscione dopo la morte dell'Ispettore Raciti
Lo striscione contro la violenza nel calcio esposto dai tifosi del Catania allo stadio Massimino, a seguito della morte dell’Ispettore di Polizia Filippo Raciti. – © Wikimedia Commons

Infatti, la notte più buia del pallone nostrano avrebbe lasciato numerose conseguenze. In primis, la sospensione dell’intera giornata di campionato: un atto dovuto, che però avrebbe sollevato lo sdegno del mondo del tifo organizzato quando, nel novembre dello stesso anno, non fu utilizzato lo stesso provvedimento a seguito dell’omicidio di Gabriele Sandri, l’ultras laziale rimasto colpito da un proiettile sparato dall’agente Spaccarotelle. L’effetto più evidente fu però quello di un netto giro di vita sul fronte della sicurezza negli stadi, con l’introduzione di diverse misure che di lì a poco sarebbero diventate la normalità. Fu proprio a seguito dell’omicidio Raciti che furono attivati i tornelli all’ingresso degli impianti ed i biglietti obbligatoriamente nominali, oltre che il DASPO per coloro che si rendevano protagonisti di reati nel corso, od a margine, degli eventi sportivi.

Sono passati 14 anni e la terribile notte del Massimino ha provocato profondo cambiamento. Sono passati 14 anni ed Antonino Speziale ha pagato il suo debito con la giustizia, ma nonostante questo come sia veramente morto Filippo Raciti resta un mistero. D’altra parte, come ripetono spesso gli avvocati, la verità giudiziaria è una cosa, quella fattuale è un’altra.