L’unico modo per reagire al logorio delle pressioni sociali è “sdraiarsi” (tangping, 躺平). Così i giovani cinesi hanno coniato un altro neologismo, divenuto subito virale nei social media, per rendere l’idea della loro disillusione nei confronti della neijuan (内卷), “involuzione”, come viene riassunta l’eccessiva competitività cinese simile a un gioco a somma zero. Un atto di protesta, più che un sentimento. L’inventore del termine e autore del post-manifesto sul forum Tieba, ora cancellato, ha spiegato: ”Siccome non c’è mai stato un trend ideologico che esaltasse la soggettività  nel nostro paese, ne creerò uno per me stesso: sdraiarmi è la mia mossa più saggia.”

La filosofia del tangping ha spinto gli utenti a creare un gruppo di oltre 6000 membri su Douban dove poter parlare delle loro esperienze quotidiane, condividendo lo stress del lavoro e degli studi, incoraggiandosi e confortandosi reciprocamente. In uno dei post più popolari, si è stilata una lista dei sette passi per abbracciare lo stile di vita del tangping, tra cui riconoscere i propri limiti, non equiparare il denaro con la felicità, e rifiutare di deprimersi con domande esistenziali. “Priorità alla pace e alla tranquillità del corpo e dello spirito”, ha commentato un’altra utente. 

Perché i giovani cinesi dovrebbero sdraiarsi? Di recente la Cina ha lanciato la politica dei tre figli dopo che il censimento ha mostrato un declino delle nascite, comportando ulteriore pressione alle famiglie per il costo della vita, e ai neolaureati che devono confrontarsi con un mercato del lavoro che prevede dello sfruttamento travestito da internships, i cosiddetti xiaoheigong (小黑工), i giovani del lavoro nero. Quando Zhu Ling si è laureata lo scorso anno in una delle più prestigiose università della Cina, in pochi avrebbero immaginato che potesse scegliere un impiego pubblico da $930 al mese. Eppure, la sua storia è sempre più vicina alla realtà dei giovani neolaureati cinesi alla ricerca di un posto di lavoro sicuro e lontano dai folli ritmi delle aziende private, soprattutto nel settore high-tech, dall’incertezza economica dovuta alla pandemia e dalla precarietà della vita delle megalopoli.

È vero. Le multinazionali, i colossi come Baidu, Alibaba, Tencent, Xiaomi (BATX) e le altre Huawei, Bytedance, Pinduoduo, pagano molto bene, soprattutto i giovani di discipline STEM. Ma non è solo lo stipendio a rendere questi ambienti allettanti: sono la dinamicità, lo stare al passo con le mode e alle esigenze dei giovani, una cultura aperta e plurale. In NetEase e Tencent i nomi dei dipendenti (e dei manager) sono sostituiti da nickname per garantire l’uguaglianza e l’inclusività, ma anche la privacy e la sicurezza, specialmente tra dipartimenti diversi. Se ricevi una comunicazione da “Watermelon”, “Monkey King” o “Doraemon” è meglio fare attenzione: è sicuramente un tuo superiore.

Altre aziende sono più old school. Alibaba, Oppo e Vivo, ad esempio, ai nickname preferiscono la filosofia del benfen (本分), che significa letteralmente “fare il proprio dovere” e agire proattivamente per compierlo, anche lavorando dodici ore al giorno per sei giorni a settimana (adottando il celebre orario 996). Chi non si adegua a questa mentalità orientata dai Key Performance Indicator (invece che dall’orario stabilito dal contratto), spiega un dipendente di Pinduoduo, rischia il licenziamento. Anche quelle che si vantano delle loro policy inclusive, in realtà, spingono i dipendenti al burnout a causa delle troppa pressione competitiva e delle poche ore libere fuori dall’ufficio. Wang Qi, ricercatore alla Beijing Normal University, facendo una stima sui dati del China’s National Bureau of Statistics, ha riportato che l’ammontare delle ore di lavoro di un dipendente full-time è di circa 2,000-2,200 l’anno, molto più degli omologhi negli Stati Uniti (1,790), Paesi Bassi (1,419), Germania (1,371), e Giappone (1,719). 

Stanchi della loro professione alienante, molti colletti bianchi del settore tech hanno adottato altri neologismi quali “umili programmatori” (manong, 码农) e “bestiame aziendale” (shechu, 社畜) e hanno alzato la voce sui social media. In molti si vendicano praticando della sana moyu (摸鱼), quell’atteggiamento tipico di chi finge di lavorare, fa frequenti pause e si trattiene al bagno più a lungo con il telefono, al punto da costringere le aziende a impedire l’accesso a internet nelle aree ricreative e a dotare gli uffici di sedie intelligenti che calcolassero quante volte i dipendenti si spostassero dalla scrivania. 

Gli organi ufficiali del governo sono preoccupati da questa minacciosa crociata contro la produttività. I tangpingisti sono un pericolo per lo slancio patriottico del “Sogno Cinese” di Xi Jinping. Le autorità stanno facendo piazza pulita con la campagna “anti-vizio e pornografia” per purificare l’internet cinese da ogni devianza nichilista e volgare proprio a ridosso del centenario del Partito Comunista. Occorre lavorare sodo, non sdraiarsi, per costruire una società moderatamente prospera. A quale prezzo però?