di Emiliano Ciaralli

L’Esercito Italiano è detentore di una moltitudine di musei, tredici per la precisione, talora poco noti, ma in effetti silenziosi quanto solenni custodi di originali tradizioni, importanti fatti d’arme e cimeli di insospettabile valore.

PERCHE’ UN MUSEO MILITARE?

Le storie di questi musei, differenti fra loro, si intrecciano nello spazio e nel tempo dando vita ad un variegato panorama storico-culturale, rappresentativo di tutte le armi, della maggior parte delle specialità dell’Esercito o di altre realtà militari legate alla storia del nostro Paese. 

Una delle domande che si sente porre spesso a tal proposito è: “perché non un museo unico di Forza Armata, come avviene nella maggioranza delle nazioni?” Noi stessi, da addetti ai lavori, ci siamo più volte interrogati su questi aspetti ponendoci la questione sotto il punto di vista sia ideologico, sia sentimentale, sia organizzativo-gestionale, senza tuttavia mai giungere ad una posizione univoca: come scopriremo nel corso degli articoli che seguiranno in questa rubrica, i musei militari sono nati in momenti diversi, da differenti volontà, talvolta su indicazioni istituzionali, talaltra su iniziative private; qualcuno di essi è perfino più antico della nascita stessa dell’Esercito Italiano e quindi, semplicemente… è sempre stato lì.

L’Italia è un paese caratterizzato da realtà geografiche molto variegate, originatrici di civiltà differenti, da luoghi meravigliosi costellati da una miriade di antiche e moderne città d’arte, ciascuna con una sua storia ed una sua identità, a volte in competizione tra di loro, spesso, in passato, in aperto conflitto, evolutesi assieme e ciò nonostante secondo strade differenti; lo stesso Esercito Italiano, specchio della Nazione, pur nelle sue ridotte dimensioni, racchiude in sé una numerosa miscellanea di specialità e tradizioni, in alcuni casi legate indissolubilmente al territorio ed alla sua storia. La molteplicità di culture con le poliedriche sfumature che esse assumono è quindi essa stessa il carattere principale dell’essere Italiani; l’Esercito riflette questa natura e i musei che ne celebrano le tradizioni e la storia non potevano che incarnare questo carattere. Questa è la loro peculiarità e, se opportunamente interpretata, può diventarne la prerogativa e la forza.

UN PO’ DI STORIA

Per lungo tempo in Italia i musei sono stati considerati “istituzioni polverose, immobili nel tempo, difficilmente accessibili a causa di orari improponibili, magazzini in cui vengono mostrati al pubblico senza grazia e senza gioia, oggetti d’arte, cimeli storici o esemplari naturali”. Questo atteggiamento, alla base del processo di involuzione dei musei, generatore di un circolo vizioso (fig. 1) che ne determina inevitabilmente il declino, negandogli il favore del pubblico, sembra esser stato radicato nella nostra cultura per generazioni, rappresentando il principale nemico della cultura.

Lo scrittore calabrese Luigi Parpagliolo così scriveva nel 1934:

“[…] i problemi riguardanti l’organizzazione dei musei hanno […] un interesse ridotto, in quanto per la massima parte le raccolte d’arte sono ospitate in edifici aulici nell’ambito dei quali riuscirebbe difficile e superfluo tenere conto dei nuovi criteri che oggi si vanno affermando, specialmente all’estero, sull’esposizione delle opere d’arte […]. Le sole necessità di cui sia stato finora tenuto conto sono che un museo debba rispondere alla funzione di conservare gli oggetti esposti e di presentarli in condizioni tali di luce e spazio da facilitarne l’esame: concetti questi due, invero essenziali, ma del tutto insufficienti.

A distanza di quasi un secolo, sembra che le difficoltà che affliggono molti dei musei nazionali non siano cambiate. E questo malgrado l’Italia sia stata una delle prime nazioni ad aderire all’ICOM fin dal primissimo dopoguerra.

E’ purtroppo innegabile che, anche nel mondo militare, tale atteggiamento si sia radicato in passato e sopravviva ancora nel pensiero di qualcuno; col tempo ha portato nel tempo ad un calo di interesse da parte dell’istituzione e di conseguenza ad una diminuzione delle visite, sempre in virtù del già citato “circolo vizioso”.

Nel corso degli anni ’60, fu forse proprio la limitata presenza di visitatori che spinse la Forza Armata ad azzerare il costo del biglietto, verosimilmente con la speranza di invogliare il pubblico ad una maggior fruizione. Allora sembrò probabilmente una soluzione preferibile, possibile alternativa ad un’attenta assegnazione di risorse, non necessariamente di natura economica, le quali avrebbero potuto avviare quel circolo virtuoso (fig. 2), all’epoca non noto, ma oggi ampiamente conosciuto fra gli addetti ai lavori.

Col senno di poi, tale provvedimento non fu risolutivo (nell’immaginario comune dell’uomo moderno, ciò che è offerto gratuitamente, assume inevitabilmente un valore o un interesse inferiore rispetto ad una prestazione offerta dietro compenso) ed anzi ha finito per privare i nostri musei della possibilità di produrre utili da reinvestire nel settore, generando quel paradosso, comune a molte altre istituzioni in Italia, della ricchezza di contenuti e di cimeli, annichilita dalla penuria dei mezzi e dalla carenza di attenzioni.

STATO DELL’ARTE

Oggi per fortuna, la remora ad investire nel mondo della cultura sta cedendo il passo ad una visione moderna ed imprenditoriale in uno scenario caratterizzato mai come prima d’ora dall’economia, anche grazie ad esempi provenienti dall’estero: sempre più persone stanno riscoprendo la possibilità che il museo sia una realtà produttiva ed al contempo un’istituzione culturale dinamica, in grado di offrire mostre ed allestimenti diversi o di organizzare eventi appetibili, con metodologie al passo coi tempi e mediante l’impiego di strumenti tecnologici, appassionando, interessando ed incuriosendo soprattutto le nuove generazioni.

I passi compiuti dal MiC negli ultimi due decenni testimoniano una presa di coscienza dell’importanza del settore museale italiano, non solo per il valore intrinseco dei beni, ma per il suo potenziale culturale ed economico. I musei sono visti oggi come i cardini della coscienza comunitaria che li ha generati (in questo non fanno eccezione i musei militari) e come luoghi ove il patrimonio culturale non solo si conserva ed eventualmente si tramanda ma anche e soprattutto si crea.

Fin qui il discorso fatto vale per i musei italiani in generale, ma a cosa servono i musei all’Esercito e perché si dovrebbe investire in essi? Anche questa domanda compone il cliché delle perplessità che vengono sollevate ogni qualvolta si tocca il tasto della cultura. La risposta più semplice e scontata è che i musei militari sono la vetrina per la Forza Armata, ospitano 160.000 visitatori all’anno e rappresentano uno dei primi interfaccia con il pubblico.

Così come si investono risorse in ambiti come social media, pubblica informazione, pubblicità, rappresentanza, ha altrettanto senso farlo nel settore museale. Sarebbe anzi più corretto dire che… non ha senso non farlo! Si immagini il ritorno negativo se, dopo una visita ad un canale “social” di un’azienda, un utente o un aspirante dipendente si rechi volontariamente a visitare a visitare uno dei suoi luoghi fisici destinati al pubblico o semplicemente vi transiti davanti per caso e lo trovi chiuso o trascurato o in condizioni tali da lasciar trasparire arretratezza, disorganizzazione, scarsa competitività. 

OPPORTUNITA’

I musei sono questo: uno strumento moltiplicatore di forze, in grado di generare consensi e dare concreti e mirabili contributi al perseguimento della missione di Forza Armata con energie insospettabili, ma al tempo stesso possono vanificare il lavoro di molti se trascurati ed abbandonati a se stessi. Il pubblico reale dei musei è composto in maggioranza da studenti, appassionati di militaria e pensionati e rispecchia perfettamente il target degli ambiti di reclutamento, vendita di gadget, di prodotti a marchio “Esercito” e di prodotti editoriali; i musei quindi rappresentano una finestra che permette al mondo civile di affacciarsi su quello militare, attirando pubblico e generando consensi, ma sono soprattutto una leva per il reclutamento e per il marketing; oltre ai punti informazione ed ai punti vendita è importante che i musei forniscano anche altri servizi accessori remunerativi, quali concessioni di riproduzione a scopo commerciale, bookshop, aree ristoro, spazi di rappresentanza per attività istituzionali e non, luoghi di ricerca e studio per collaborazioni con enti universitari e scientifici, sale per conferenze, e più in generale concessione di spazi specificatamente dedicati per iniziative esterne. Questi servizi accessori, apparentemente di importanza secondaria, hanno invece un ruolo primario nell’attrarre risorse di varia natura necessarie ad assolvere le funzioni istituzionali fondamentali: incremento ed aggiornamento delle collezioni, inventariazione e catalogazione, sviluppo multimediale e in rete, documentazione, ricerca scientifica, pubblicazioni, conservazione preventiva e sicurezza, manutenzione e restauro, accesso alla documentazione archivistica ed iconografica, scambi culturali con altre istituzioni. L’obiettivo, già nel medio periodo è una riduzione dei costi ed una crescita dei risultati ottenuti.

Tali compiti erano in passato assolti facendo conto su stanziamenti pubblici ordinari e straordinari, ma oggi, il mutato panorama economico e sociale impone a molte realtà statali di rendersi autonome dal punto di vista finanziario e di assolvere i propri compiti senza gravare sui bilanci, ma anzi producendo utili. Non è un caso che nei musei di tutto il mondo, soprattutto occidentale ed asiatico, il rapporto fra aree espositive ed aree destinate ai servizi stia passando dal 90%-10% della prima metà del ‘900 fino quasi ad un 50%-50% dei musei più noti ed importanti a livello internazionale.

Questo processo è già stato avviato, grazie ad iniziative dei direttori e, contestualmente, ad una sinergia fra Ministero della Difesa e MiBACT ma si concretizzerà solo se l’attenzione dei vertici continuerà ad essere concentrata su questa trasformazione e se tale sinergia sarà raggiunta a tutti i livelli; un cambio di rotta in questo momento potrebbe vanificare quanto fatto finora. Il centro di gravità di questa operazione è l’attuazione di un radicale cambio di mentalità: la concezione del museo dovrà passare da accessorio a strumento.