Domenica 15 agosto 2021 sarà ricordato come il giorno in cui il regime talebano ha ripreso il controllo dell’Afghanistan, dopo aver resistito per ben 20 anni all’insegna della guerriglia tra le aspre montagne e colline del paese asiatico. Ma non solo: è anche il giorno in cui, in tutti i paesi europei, è cominciato un ragionamento ed un conseguente ripensamento del valore che la parola “Occidente” assume oggi, dopo anni di sbandieramento e dopo quello che, a tutti gli effetti, sembra un fallimento in piena regola. Tutto ciò, purtroppo, è stato e continua ad essere svolto con i soliti bias tipici occidentali e con un’inutile e deleteria spettacolarizzazione mediatica che poco aiuta la comprensione degli eventi. Partiamo dal secondo elemento: l’Afghanistan rischia di diventare il nuovo Vietnam, ossia l’evento più sopravvalutato all’interno del secolo di appartenenza; intendiamoci: entrambi gli eventi sono capaci di segnare la storia, devono essere insegnati e studiati ed incidono in maniera piuttosto pesante sulla reputazione e sull’immagine dell’attore comune ai due eventi, nonché attuale ed incontrastata potenza: gli Stati Uniti d’America. Di conseguenza, l’attuale riflessione non ha l’obiettivo di minimizzare o sottovalutare l’importanza di ciò che sta accadendo; l’obiettivo è, piuttosto, quello di riportare tutti con i piedi per terra: l’Afghanistan non è in alcun modo un teatro centrale nel gioco tra le grandi potenze, tanto meno in quello attuale tra Cina e stati Uniti. Una “sconfitta” laggiù, seppur rumorosa e piuttosto goffa, non pregiudica la situazione di dominio che caratterizza la superpotenza: la sua superiorità sui due più diretti rivali (Cina e Russia) rimane incontrastata, così come tale rimane il controllo e l’influenza che gli Stati Uniti riescono a proiettare nel continente che, ancora oggi, è il più importante al mondo, popolato da genti molto capaci e da cui, storicamente, i più importanti tentativi di dominazione globale sono partiti: l’Europa. Così come il Vietnam, l’Afghanistan non è una pedina in grado di smuovere gli equilibri ed anzi, potrebbe fare ciò in un modo del tutto vantaggioso per gli Stati Uniti: creando ulteriore caos e confusione nel quadrante mediorientale, impedendo l’emersione di un unico egemone regionale in grado di irrorare, da lì, la sua potenza. In tal senso il ritorno dei talebani, i loro storici legami con Al-Qaeda e la continua presenza dell’ISIS (con il suo ramo asiatico sotto il nome di ISIS-K, ad indicare la regione del Khorasan in spolvero, nostro malgrado, negli ultimi giorni) giocano a favore degli americani. Per tutti questi motivi, i toni estremamente sorpresi e sensazionalisti degli ultimi giorni sembrano fuori luogo e non adatti a descrivere una situazione che sicuramente finirà nei libri di storia, ma alla quale probabilmente sarà dedicato non più di qualche paragrafo. Ma non solo: la sorpresa è ingiustificata in quanto gli avvenimenti odierni erano già inscritti nell’accordo firmato dall’amministrazione Trump con i Talebani, con i quali la fictio di un governo ed esercito afghani degni di essere chiamati tali è venuta a galla, essendo entrambi tagliati fuori dai discorsi. Infine, un’ultima segnalazione: qualsiasi regime politico, tanto più qualsiasi leader, anche il più efferato dittatore, deve godere di un supporto consistente e molto ampio tra la sua popolazione: a giudicare dai vari tappeti rossi che sono stati stesi durante l’avanzata dei talebani verso Kabul, la comprensione di quest’ultimo punto non dovrebbe essere difficile, aldilà dell’inevitabile narrazione dei media occidentali. 

Passando al punto che dà il titolo del presente articolo, le analisi che si susseguono sembrano partire tutte dallo stesso, sbagliato, assunto: i cosiddetti valori “occidentali”, quali la democrazia, il rispetto per i diritti umani, il rispetto per le donne, la libertà di espressione sono da considerarsi universali, comuni alla storia ed al baglio storico e culturale di qualsiasi posto che componga il nostro pianeta. Ovviamente non è e non sarà mai così. Tutti i concetti appena elencati sono frutto di avvenimenti storici, politici e culturali, correnti filosofiche e circostanze che sono comuni solamente al nostro continente europeo, o forse sarebbe più corretto riferirsi ad una parte di esso, cioè quella occidentale. Piaccia o non piaccia, questa è la realtà. Non possiamo pretendere che concetti così importanti ma allo stesso tempo indissolubilmente legati ad una sola parte del pianeta vengano forzatamente estesi dappertutto. Tenendo bene in mente la grandezza di ciò che è stato raggiunto negli ultimi secoli e quindi l’importanza di questi valori, dobbiamo essere onesti ed intelligenti nel riconoscere che i diritti delle donne possono anche non essere considerati così importanti in altre parti del mondo, che la democrazia è una forma di governo che deve essere compresa dalla popolazione, che è recentissima nella storia dell’uomo e che per moltissime opinioni pubbliche ha poco significato. Soprattutto, i cosiddetti diritti “umani” che noi pensiamo comuni a tutta la specie umana, sono considerati dalla maggior parte della popolazione mondiale come coloniali, come un elemento alieno esportato nelle loro terre da conquistatori lontani ed in nome dei quali si sono combattute, e si continuano a combattere, sanguinose guerre. A dir la verità, il concetto di diritti umani può attecchire solamente verso noi europei (la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino è frutto della Rivoluzione Francese), e solo da noi possono essere considerati come un qualcosa che muove i destini dell’umanità. Ancor di più, l’elemento più tragico è che questi diritti si riferiscono all’uomo, all’individuo in quanto tale: a proposito, non ci possiamo dimenticare che la vita sociale, in moltissimi paesi del mondo (la maggior parte) sono intesi ed organizzati secondo scale diverse: quelle di tribù, clan, etnia; l’individuo di per sé non ha alcun significato, ma assume importanza e ragion d’essere all’interno di un gruppo sociale ben più ampio, nel quale si sviluppano i veri legami umani, affettivi, di dipendenza. Continuando ad utilizzarli come bandiera da esportare in ogni dove, si rischiano solamente magre figure e, soprattutto, si rischia di perdere di vista il fatto che il nostro pianeta è abitato da esseri umani, che in quanto tali sono diversi gli uni dagli altri, e che nella loro configurazione attuale, cioè quella di stato-nazione, sono portatori di sistemi valoriali e concettuali del tutto diversi. E che tentare di ergersi a paladini di promesse universali per un mondo migliore può rivelarsi una mossa arrogante. Più saggio sarebbe comprendere ciò ed essere più freddi nelle nostre valutazioni, evitando nuove “guerre al terrorismo”. Una formulazione che, di per sé, è letteralmente priva di senso, in quanto è impossibile fare guerra ad una tattica, che in quanto tale rimarrà una costante d’azione di numerosi gruppi sparsi per la Terra, nostro malgrado.