«Chi è sopravvissuto ha l’anima ferita. Non deve subire anche la banalizzazione del suo dolore»
Goti Bauer, sopravvissuta ad Auschwitz

Banalizzare è negare

I fatti dello scorso 30 ottobre sono ormai arcinoti. La manifestazione No-GreenPass organizzata a Novara che ha visto sfilare alcuni manifestanti vestiti con una casacca a strisce uniti dal filo spinato, simulando così l’esperienza di detenzione dei prigionieri di Auschwitz, ha sollevato polemiche ed indignazione urbi et orbi. Non poteva che essere così del resto. Una pagliacciata, una carnevalata, un travalicamento del diritto di manifestare liberamente le proprie idee. Ognuna di queste considerazioni potrebbe essere valida per ragionare e dare una spiegazione allo scempio di un manipolo di manifestanti che avevano la necessità di spararla grossa per essere notati.

Derubricare però questo gesto ad una semplice carnevalata per inserirlo nel lungo elenco di stupidaggini che da ogni dove osserviamo in questo periodo è un grave errore. O meglio, una miopia. Mi spiego meglio e sarò breve: quando ti vesti da deportato, credendo di poter mettere in relazione la più grave e violenta discriminazione della nostra storia con un provvedimento amministrativo, che ha come unico obiettivo la tutela sanitaria, sei un riduzionista. Esattamente come quelli che dichiarano convintamente che la detenzione ad Auschwitz non era poi così dura o minimizzano l’operato liberticida di Hitler e Mussolini. Il riduzionismo è l’anticamera del negazionismo: riduci-banalizza-normalizza-nega. Chi ha bisogno di ridurre banalizzando? Chi non comprende la drammaticità di un’esperienza così violenta e chi la conosce poco e male o per niente.

Quale passato?

La manifestazione di Novara è un colossale manifesto di ignoranza di una storia sbeffeggiata e minimizzata che a costoro parla poco e che, in verità, non parla così tanto neanche ad un’altra fetta, silente, del nostro Paese. Il primo motivo è la costante incapacità del nostra comunità nazionale di fare i conti con il suo passato: superiamo ed accantoniamo per poi dimenticare e ricominciare un nuovo capitolo. Il secondo motivo è riguarda il nostro calendario memoriale, che è sostanzialmente politico, nel senso che 27 gennaio e 10 febbraio, giornate di memoria nazionale, è opinione diffusa considerarle di “una parte”. Il terzo ed ultimo è il sopravvento della memoria sulla storia che necessariamente ci porta ad una minore complessità e possibilità di problematizzazione. David Bidussa sostiene che «il codice della testimonianza punta sull’elemento emozionale» che è per sua natura immediato, semplice, e poco richiedente. Il rapporto tra storia e memoria è per sua natura conflittuale: i due termini non sono sinonimi. La storia si serve della memoria, ma non si esaurisce in essa.

Il corteo di Novara non è stato inscenato da antisemiti dichiarati o neo-nazisti ma da comuni cittadini con sensibilità politiche che possiamo immaginare differenti e, il tentativo di confinarli nello spazio politico dell’estrema destra, come qualche commentatore ha provato ad abbozzare, è una semplificazione di cui non si sente il bisogno perché gioca la partita dei “buoni vs cattivi”. Quei manifestanti sono il prodotto di una politica memoriale nazionale che non sta producendo gli effetti sperati e ci indicano un cambiamento di rotta necessario (e per questo dovremmo ringraziarli) altrimenti sarà bene prepararsi ad altre polemiche del giorno dopo.