«Possiamo vincere questa partita, se saremo capaci di essere freschi e di pattinare con loro».
[Herb Brooks]

È il 21 febbraio 1980 e mancano ventiquattro ore al primo incontro del girone di finale del torneo di hockey sul ghiaccio delle Olimpiadi invernali di Lake Placid. A parlare è Herb Brooks, il commissario tecnico della Nazionale statunitense, composta totalmente, in ossequio al dilettantismo a cinque cerchi, da giocatori universitari che il giorno successivo affronterà l’Unione Sovietica. Il 43enne Brooks, fino a pochi mesi prima coach dell’Università del Minnesota, sta parlando a George Nagobads il medico della squadra.

Per “The Doc”, come lo chiamano semplicemente tutti, quella non è una partita normale. Non solo per la posta in palio. Sì, perché George, all’anagrafe si chiama Visvaldis Georgs ed è nato a Riga, in Lettonia. Classe 1921, è cresciuto nel periodo tra le due guerre mondiali in cui il Paese baltico era indipendente, stretta tra la Germania e la nascente Unione Sovietica.

Figlio di Ernest, un preside, fin da ragazzo Georgs è uno sportivo. Bandy (uno sport con alcune somiglianze con l’hockey su ghiaccio), pattinaggio di velocità, hockey, ma soprattutto pallacanestro sono i suoi passatempi. In quest’ultima disciplina è due volte campione nazionale a livello di scuola superiore, venendo allenato anche da Valdemārs Baumanis, allenatore della Nazionale lettone di basket, campione d’Europa nel 1935.

Una gioventù tra libri e attività all’aria aperta, in cui nel 1940 irrompe la Storia. Per due volte. Georgs è una matricola della Facoltà di Medicina dell’Università di Riga, quando a seguito degli accordi tra Unione Sovietica e Terzo Reich la Lettonia viene occupata dalle truppe dell’Armata Rossa. Georgs e suoi sfuggono alle deportazioni di massa dei sovietici solo perché il giorno in cui vengono ordinate, loro decidono di non tornare a casa a dormire. Per la famiglia Nagobads è comunque un cambio di vita e di prospettiva. Il padre di Georgs perde il suo lavoro, mentre il ragazzo non può più frequentare l’università.

Sembrerebbe l’inizio di un momento buio, ma più o meno dodici mesi dopo a entrare a Riga, è un altro esercito, quello della Germania nazista che ha appena invaso l’Unione Sovietica. Georgs può rientrare all’università. Lui la medicina l’ha scoperta per via di uno zio, ma soprattutto per una casualità. Un giorno il suo amico, il pattinatore di velocità Elmārs Bite non può andare a lavorare all’Istituto di medicina sportiva, perché deve allenarsi. Così gli chiede di andare al suo posto. E al giovane Georgs piace molto.

Sarà una scintilla che farà nascere un grande amore, che Georgs coltiva negli anni, ma non in Lettonia. Nel 1944 infatti con l’avanzata dell’Armata Rossa verso Ovest i sovietici rientrano a Riga. I tedeschi scappano, i Nagobads li seguono, anche perché Georgs secondo alcune fonti avrebbe servito come “soldato di sanità” nella Legione Lettone, reparto composto da elementi locali e inquadrato nella Waffen-SS.

Georgs in Germania, a Tübingen, si laurea e lavora su un’unità mobile che effettua radiografie per scoprire i casi di tubercolosi. In quel periodo un reverendo statunitense gli spiega che le sue conoscenze mediche potrebbero essergli utili negli Stati Uniti. Il visto per Georgs, che oltre a lettone e russo, parla francese e tedesco ma non inglese a differenza di sua moglie Velda arriverà solo nel 1951. I due si stabiliscono in Minnesota.

La rosa dei Minnesota Golden Gophers, stagione 1958/59 – © Wikicommons

George, come hanno tutti preso a chiamarlo, si specializza, fa prima l’assistente e poi il medico, ma non ha nulla a che fare con l’hockey. Nel 1956 la chiamata del centro medico dell’Università del Minnesota. Dovrebbe occuparsi della salute degli studenti, ma il direttore chiede, se nel caso ci fosse bisogno, se fosse disposto a dare una mano anche al responsabile medico della squadra di hockey, che sta invecchiando e che ha qualche problema di salute. Nagobads accetta in maniera entusiasta. «Sono stato anche io un giocatore di hockey» dice al direttore. Dopo il ritiro del collega il “doc” dei Minnesota Golden Gophers diventerà lui. Lo sarà per 34 anni, conditi da tre titoli NCAA tra il 1972 e il 1976.

Tra le centinaia di giocatori curati, seguiti e suturati c’è Herb Brooks. Hanno sedici anni di differenza ma il medico lo considererà sempre come un figlio. George alla fine degli Anni Sessanta entra anche nel giro delle Nazionali statunitensi che vanno a Mondiali e Olimpiadi. Gode di così tanta considerazione che nel 1972, quando a Murray Williamson, il ct di Team USA a Sapporo – pure lui un ex giocatore di Minnesota a fine Anni Cinquanta – comunicano che il dottore della squadra non sarà Nagobads, spiega che il suo “doc” è solo il 50enne di origine lettone.

La questione viene risolta con un escamotage: a George viene dato un incarico “di comodo”, consentendogli di volare in Giappone e di conquistare un argento insperato dietro l’Unione Sovietica. E poi c’è Lake Placid 1980. È la quarta Olimpiade di Nagobads, ma quella con un significato particolare. Si gioca in casa e oltre alle Nazionali scandinave il grande avversario degli USA, guidati da Herb Brooks, che vent’anni prima era stato “tagliato” all’ultimo, è l’URSS. La tensione è forte, anche perché a causa dell’invasione dell’Afghanistan gli Stati Uniti stanno considerando il boicottaggio ai Giochi estivi di Mosca.

I sovietici invece nello Stato di New York ci sono venuti, con forse una delle più forti squadre di sempre. Vladislav Tret’jak, Borislav Mikhailov, Sergej Makarov, Vjačeslav Fetisov, Valerij Charlamov sono le stelle di una selezione che vince l’oro olimpico ininterrottamente dal 1964. Una sfida in teoria impari, quella con gli universitari statunitensi che Nagobads, che ha ospitato a casa sua il portiere Jim Craig e ha consigliato all’allenatore di nominare capitano Mike Eruzione, quasi non vedrà. Perché Brooks, per mantenere il proposito di tenere le “gambe fresche” gli ha affidato un cronometro. Il medico deve segnalare il tempo di durata dell’azione che non deve superare i 35-40 secondi. Una tattica arguta, che lascia sorpresi anche gli avversari. Uno di loro Vladimir Petrov gli chiede in russo: “Doc ma che diavolo sta succedendo?”. “Sarebbe meglio lo chiedessi al tuo allenatore” la risposta di Nagobads.

Il ricordo del “miracle on ice“, Olimpiadi di Lake Placid 1980.

Alla sirena il dottore non si unirà ai festeggiamenti. Andrà come sempre nella sua stanza a compilare il report degli infortunati. Lì, mentre sta scrivendo bussano alla porta. È Helmut Balderis, ala cresciuta nella Dinamo Riga e lettone come lui. È accompagnato da altri giocatori della Nazionale sovietica. Hanno un richiesta per il “Doc”. Vorrebbero comprare dei Moon Boot per le loro mogli, ma non riescono a intendersi con il proprietario del negozio, visto che non parlano inglese. Nagobads non si nega, prima di tornare a lavorare.

George Nagobads – © Twitter

L’oro olimpico sarà il punto più alto della carriera del medico, che negli Anni Ottanta sarà il responsabile sanitario della Federhockey statunitense e nel 1990 diventerà il dottore della squadra nazionale femminile che parteciperà al primo Mondiale. Nel 2003 Nagobads è stato inserito nella Hall of Fame del hockey americano come membro della squadra olimpica del 1980, un riconoscimento bissato nel 2010 dall’inserimento come “contributore”. Sempre nel 2003 a omaggiarlo è la Federazione internazionale, conferendogli il Paul Loicq Award la sua massima onoreficenza. Nel novembre 2021 ha compiuto cento anni, un secolo tra ombre, fughe e vissuto all’insegna dell’amore per lo sport e per l’hockey.