Per quelli nati a Milano Sud, qualsiasi problema alla bicicletta si curava in un’unica maniera: andando dal Drali.

Giuseppe Drali, per gli amici Peppin; caro amico di mio nonno, di mio padre, di tutti.
Per tanti anni la sua officina ha accolto appassionati di biciclette da corsa, chi sulle due ruote ci andava al lavoro o in campagna o semplicemente chi, come me, «g’aveva duma’ sbusaa» (aveva solo bucato).

Tutti noi abbiamo avuto la gioia di provare, una volta nella vita, l’esperienza di entrare in un posto fuori dall’ordinario, lontano dal tempo. Mi capitava ogni volta che entravo in quella sconquassata officina, apparentemente abbandonata, incastonata tra i palazzi anni ’60 di Via Agilulfo, quartiere Baia del Re.

Te ne arrivavi lì con la tua bicicletta portata a mano, un po’ in soggezione aprivi il cancelletto e percorrevi la stradina in piastrellato di cemento. Sdraiata davanti all’ingresso c’era Diana, il vecchio cane del Drali, come un Cerbero dormiente a proteggere gli scheletri di decine di telai. Entrando l’odore di grasso e gomma ti pervadeva piacevolmente le narici e la vista delle biciclette ti riempiva gli occhi. Alle pareti poster vecchi come Milano, raffiguranti campioni del passato in sella alle loro biciclette Bianchi. La bottega sempre animata dagli amici del Peppin che se ne stavano lì tra i manubri e le catene.

Al bancone c’era sempre la Marisa, che ti guardava un attimo e con dolcezza chiamava il marito: «Peppin, va che gh’è el nevud del Zerbini» (Peppino, guarda che c’è il nipote di Zerbini).

Dopo una “breve” attesa arrivava il sciur Drali; con la sua voce gentile e il cappellino in testa ti accoglieva

Giuseppe Drali, classe 1928.


«Ué guinott, ostia come te set diventà grand! Come sta’l to nono, l’è un toc che’ l vedi no. Saludel nè. Se ghe’ success alla bicicleta, te ghe sbusaa?»
(Uè ragazzo, come ti sei fatto grande! Come sta il nonno, è un po’ che non lo vedo. Salutalo eh. Cos’è successo alla bicicletta, hai bucato?)

Andare dal Drali era soprattutto un esame di milanese. Candidamente cercavo di rispondere inserendo qualche parola in dialetto, per non offendere, si intende.

La diagnosi era sempre la stessa: «Alura ascolta, g’ho un pu da laurà, lasa chi la bicicletta e te turnet tra un quater dì, va ben? Ciao guinot!» (Ho un po’ di lavoro, lascia giù la bicicletta e torna tra quattro giorni).

Aveva preparato i telai per i maggiori campioni di ciclismo italiano, ma se nella sua officina entrava un ragazzino con una gomma bucata gliela aggiustava con la stessa cura. Me ne uscivo rallegrato, e, ringalluzzito da quell’esperienza corroborante, davo un’ultima occhiata a quel posto buio, trasudante fatica e orgoglio per la propria arte.

Giuseppe eredita la passione per la bicicletta dal papà. È infatti Carlo Drali a mettere su la baracca: nel 1923 apre la sua officina in via Chiesa Rossa. Nel 1933 Edoardo Bianchi gli affida la squadra corse della rinomata marca di biciclette: tra i tanti campioni Olmi, Aspisi, Bergomi e Girardengo, di de gregoriana memoria.

Francesco De Gregori canta di Sante il Bandito e di Girardengo il Campione.

La svolta arriva quando a Carlo e al giovane Peppin viene affidato il compito di preparare la prima bicicletta da corsa per un nuovo campione, fresco fresco di ingaggio dalla Bianchi: Fausto Coppi. Con quella bicicletta l’Airone vincerà la Sanremo del 1946. È il punto di partenza per l’affermazione della Specialissima Drali.

Fausto Coppi, Sanremo 1946 – © faustocoppi.org

Peppin porta avanti il sogno del padre e continua a lavorare alle biciclette da corsa; nel 1982 l’officina si sposta in Via Agilulfo, e lì rimarrà fino al 2014. In quell’anno Giuseppe perde l’amata moglie Marisa, dopo cinquant’anni di matrimonio.

Giuseppe e Marisa Drali, nella loro ciclofficina di via Agilufo.

«Adess ch’al ghè no pù la mia Marisa, la casa me la neta el can» (Adesso che non c’è più la mia Marisa, la casa me la tiene in ordine il cane).

È disperato ed è sul punto di lasciare tutto. Ma è un giovane volenteroso, Alessandro Merli, a implorarlo di insegnargli il mestiere, come suo padre aveva fatto con lui.
Il Peppin tentenna, a’l pensa e a’l ripensa e alla fine si convince. Viene aperto uno Show Room in via Palmieri; ogni mattina il Drali è il primo a tirar su la saracinesca. Ha posto un’unica condizione: stare nel negozio. Senza biciclette non ci sa stare.

Fino a qualche giorno fa vi avrebbe accolti all’entrata dello show room: «Ué guinott, se ghe’ success alla bicicleta, te ghe sbusaa?»

Una vita al servizio della bicicletta, una vita di sacrifici e di lavoro. Voci affermano che qualche anno fa, quando ancora era in Via Agilulfo, girava per l’officina borbottando, passandosi tra le mani una lettera: era la comunicazione del Presidente della Repubblica che lo nominava Cavaliere del Lavoro. Ma lui bofonchiava: «Ma se l’è quel rob chi? Che sarà minha pagà quai cos?» (Ma che cos’è questa roba? Dovrò mica pagare qualcosa?).

Il Drali ha deciso di andarsene il giorno di Natale del 2021. Per forza, «a Nadal se laura no» (a Natale non si lavora).

Ciao Peppin!