Nessuno pensò di dire a Karin Balzer che suo figlio non c’era più. O meglio, qualcuno potrebbe averci pensato, ma la posta in palio era troppo alta, almeno per la DDR. Era il 1972 e l’ostacolista tedesca era tra le atlete più rappresentative della Germania Est alle Olimpiadi, che – neanche a dirlo – si disputavano a Ovest, a Monaco di Baviera.

Nel mezzo di una competizione insanguinata il figlio di Balzer morì in un incidente, una notizia che però la donna non seppe fino al termine delle gare. La storia che ci racconta Roberto Brambilla, giornalista e autore di C’era una volta l’Est, è solo una delle tante vicende riguardanti gli sportivi che fino al 9 novembre 1989 vissero al di là del Muro, costretti a fare i conti con il regime socialista e la sua concezione di sport. Una «vetrina per mostrare quello che veniva propagandato come il miglior Paese al mondo» e che, di conseguenza, non ammetteva macchie.

Karin Balzer (a sx.) alle Olimpiadi di Città del Messico del 1968, in cui venne scelta come portabandiera della DDR.
© SZ.de / SKA

Karin Balzer aveva in realtà capito già da tempo che quello non era affatto il Paese migliore al mondo. A fine anni Cinquanta la donna era di fatto riuscita a scappare a Ovest ma la sua libertà durò poco. «Dopo un periodo fu costretta a tornare per le pressioni che ricevette», ci racconta Brambilla. D’altronde la discriminante principale per chi decideva di fuggire o meno era «la paura per ciò che lasciavano a Est». Karin lì aveva lasciato parte della sua famiglia e per questo divenne per la Stasi una delle persone a cui «rendere la vita impossibile». Al suo ritorno, Balzer fu salutata addirittura come un’eroina, ma pochi conoscevano le vere ragioni che l’avevano costretta a riattraversare il Muro.

«Dove sei stato tutto questo tempo…non ci vediamo dal gol di Spari?» era una frase abbastanza comune tra i tedeschi orientali.

Die Tor, il gol di Jürgen Sparwasser al minuto 77 di FDR vs DDR durante il girone di qualificazione al Mondiali del 1974. – © Imago

Spari, al secolo Jürgen Sparwasser, è diventato l’icona sportiva della DDR in uno storico istante del 22 giugno 1974, mandando sedici milioni di connazionali in tripudio – ufficialmente in un Paese aconfessionale non poteva mandarli in paradiso – e ottanta milioni di westdeutscher all’inferno. Quel giorno al Volksparkstadion di Amburgo, nel girone eliminatorio del Mondiale di calcio ospitato ad Ovest, si affrontano per la prima ed unica volta le rappresentative senior delle due Germanie. Nel 1964 e nel 1972 si erano incontrate le squadre olimpiche giovanili, con un ruolino di due vittorie a uno per la Germania Est. Ma quel giorno del 1974 è diverso: è das Spiel, La Partita. Tra i due blocchi e tra le due ideologie predominanti della Guerra Fredda. Due facce della stessa Vaterland, la “patria” presente in tutti gli inni nazionali: tanto nel canto dei tedeschi dell’Ovest (comunemente noto come Deutschland über Alles e poi fatto proprio dalla Germania unita), quanto ne La Guardia sul Reno che piaceva ai nazisti, ma curiosamente anche in quello della Germania Est. In Auferstanden aus Ruinen si accenna infatti alla “Germania, Patria riunita“.

Una sintesi della partita, sulle note dell’Inno nazionale della Germania Est.

Al 77′ minuto di quella partita nella quale lo sport incontra la storia e la politica, Spari si guadagna l’immortalità. Decide una guerra tra due mondi che parlano la stessa lingua, tra i wessis, “nemici di classe” della RDT, e gli ossis, i “morti di fame” della DDR. Per descrivere quell’istantanea si scomoda il primo premio Nobel della Germania riunita, Günter Grass, in Mein Jahrhundert (“Il mio secolo”):

“Sparwasser accalappiò il pallone con la sua testa, se lo portò sui suoi piedi, corse di fronte al tenace Vogts e, lasciandosi persino Höttges dietro, lo piantò alle spalle di Maier in rete.”

Per quattordici anni gli ostdeutscher sono andati avanti a chiedersi: «E tu dov’eri quando Spari segnò?». Un interrogativo festoso in auge fino al 1988 quando, complice un’amichevole tra vecchie glorie, Sparwasser compie uno dei crimini peggiori per il codice penale della DDR: il Republikflucht, la “fuga dalla Repubblica”. Lui, figlio di una casalinga e di un metalmeccanico e laureato in ingegneria; lui, che ha mandato in paradiso la classe operaia facendo gol al capitalismo; lui, che «Se sulla mia lapide scrivessero ‘Amburgo 1974’, tutti saprebbero chi vi giace”»; lui, che quel gol non lo ha mai sopportato. «Subito dopo il mio gol – racconterà anni dopo – un mio amico prese a calci la televisione: un misto di gioia e rabbia perché sapeva che il partito avrebbe usato quella rete per fini propagandistici». Quella sera del 22 giugno 1974 Jürgen Sparwasser è diventato un eroe, ma guardando avanti, probabilmente non lo avrebbe voluto.

Andreas Krieger, nata Heidi, in un montaggio di EPA AND THE TELEGRAPH

Il pubblico è più importante del privato” era uno dei motti del modello egualitarista sovietico che la DDR ha declinato in “Grandi atleti per una grande nazione”. Ma lo sforzo per apparire grandi in pubblico attraverso i propri “diplomatici in tuta” ha rovinato molte vite, anche nel loro privato più intimo. Piano di Stato 14.25 è il nome del programma utilizzato dal regime per dimostrare la superiorità del socialismo attraverso l’eccellenza sportiva, con ogni mezzo e a ogni condizione. Solamente nel 2000, nel corso del processo a Manfred Ewald, ministro dello Sport e presidente del Comitato Olimpico della DDR ininterrottamente dal 1961, il Piano 14.25 è stato riconosciuto «doping di stato». L’associazione vittime del doping – fondata nel 2013 da Ines Geipel, ex nuotatrice e scrittrice che – nel 2005, al termine del processo a Erwald, ha preteso che il suo nome accanto al record venisse rimpiazzato da un asterisco – stima che ad essere sistematicamente dopati siano stati 15 mila atleti, 10 mila dei quali erano donne.

Nei centri federali di Lipsia e Dresda, venivano reclutati studenti che prima di diventare ambasciatori sportivi del socialismo, venivano utilizzati come “cavie umane”. Agli atleti venivano somministrate caramelle di Oral-Turinabol, uno steroide anabolizzante prodotto dalla casa farmaceutica Jenapharm, di proprietà statale. «Si preferiva dopare le donne perché su di loro l’effetto virilizzante degli ormoni maschili è nettamente più forte», ha affermato Ines Geipel. A causa della distruzione di migliaia di documenti incriminanti mancano dati ufficiali e definitivi, ma ci sono migliaia di prove sulla pelle di atleti e, soprattutto, atlete. In un’intervista al Sole 24 Ore la presidente dell’Associazione ha raccontato l’incubo di «migliaia di ragazze ingannate e depredate del loro sesso».

Il caso probabilmente più noto è quello di Heidi Krieger, ex pesista dei record. Nel 1986 agli Europei di Stoccarda lanciò il suo peso a 21,10 metri, una distanza strabiliante che le valse l’oro. Una medaglia pesante 2590 milligrammi di Oral-Turinabol, il doppio del quantitativo di anabolizzanti contestati a Ben Johnson ai Giochi di Seul nel 1988. Al termine della carriera Krieger ebbe un lunghissimo periodo di problemi fisici e psichici. «L’unico modo per continuare a vivere – disse – è trasformarmi in uomo, altrimenti penserei al suicidio». Nel 1997 Heidi decise di cambiare vita: divenne Andreas e si sposò con Ute Krause, un’altra vittima del doping di stato.