Gli assassini psicopatici e i killer seriali sono sempre esistiti, solo recentemente però le tecnologie di comunicazione, l’interesse dei media e i progressi scientifici in ambito forense hanno permesso alle squadre investigative di far risalire crimini allo stesso autore, anche se molto distanti tra loro. Da quando negli anni ’70 l’FBI ha coniato il termine Serial Murderer abbiamo acquisito nuove conoscenze, e oggi conosciamo alcuni elementi tipici della loro psiche.

Secondo l’ultimo report pubblicato dall’FBI nel 2005 gli omicidi che coinvolgono un killer psicopatico costituirebbero circa l’uno per cento (ovvero 150) degli omicidi registrati negli USA ogni anno (circa 15 mila). Si tratta dunque di un fenomeno raro ma persistente.

La nostra curiosità riguardo al tema, forse nasce proprio dall’inconcepibilità di questi crimini, ripresi da film, serie tv e libri di successo che però potrebbero aver contribuito alla formazione di qualche falso mito.

A differenza di quanto si sente spesso affermare..

Non è vero che i serial Killer sono solamente maschi bianchi, ci sono numerosi killer donna. Carl “Coral” Eugene Watts, una donna afroamericana, ha ucciso cinque persone in  Michigan, prima di scappare in Texas e mietere altre dodici vittime. Inoltre, sembra che la proporzione etnica rifletta quella della popolazione generale.

I loro omicidi non sono motivati esclusivamente da pulsioni sessuali, possono dipendere da rabbia, ricerca del brivido, di un guadagno finanziario e ricerca di attenzione.

Non è vero che i serial killer sono prevalentemente solitari, isolati incapaci sociali. Molti serial killer sono in grado di nascondersi con successo in piena vista per lunghi periodi di tempo. Spesso sono occupati, hanno famiglie e case, apparendo così innocui alle forze dell’ordine, alle loro famiglie e ai loro coetanei. In alcuni rari casi, un serial killer non identificato può persino diventare amico dei detective che lo seguono. È il caso di Ed Kemper (il “Co-ed Killer”) che instaurò un rapporto di amicizia con alcuni agenti di polizia per tenersi informato sui progressi delle indagini.

Psicopatia e Sociopatia nella mente degli assassini

Nel linguaggio di tutti i giorni, sociopatico e psicopatico vengono usati in modo intercambiabile, si tratta però di un’imprecisione. La distinzione tra queste due condizioni ci può aiutare a inquadrare meglio il profilo dell’assassino psicopatico.

In psicologia la personalità sociopatica viene descritta e classificata come disturbo antisociale di personalità. Gli antisociali si contraddistinguono per la loro sostanziale incapacità di adeguarsi alle norme sociali e legali, gli spiccati tratti di impulsività e aggressività, e l’inclinazione a condotte disoneste. Secondo alcuni studi il 40% della popolazione incarcerata per crimini violenti rientrerebbe nei parametri per la diagnosi di questo disturbo.

Sebbene l’assassino psicopatico possa essere impulsivo, e incline a condotte disoneste, sono i deficit emotivi a caratterizzarlo maggiormente rispetto ad un assassino comune.
La psicopatia si contraddistingue per le difficoltà relazionali ed empatiche. Gli psicopatici soffrono di marcate difficoltà nell’espressione verbale e simbolica delle emozioni, di una debole capacità immaginativa e di uno stile di pensiero utilitaristico, improntato a creare relazioni instabili, basate sulla convenienza e non sul desiderio di instaurare legami affettivi profondi.

Alla radice della crudeltà: la biologia e l’ambiente

Dalla ricerche sulla neuroanatomia e attività cerebrale sono emerse alcune modificazioni nella costituzione e nell’attività del cervello degli psicopatici. Si sono infatti registrate alterazioni a livello della corteccia orbito-frontale, una parte del nostro cervello che ci permette di controllare i nostri comportamenti impulsivi, e variazioni a livello dell’amigdala, un nucleo del cervello coinvolto nelle reazioni di paura. Gli psicopatici dimostrano una minore attività di questo nucleo sia in risposta a stimoli spaventosi, sia in risposta ad espressioni di sofferenza nelle altre persone.

Al pari delle evidenze che suggeriscono uno squilibrio biologico alla base del desiderio di uccidere, alcune similarità nelle loro storie confermano l’importanza dei fattori ambientali, che potrebbero agire da fattore scatenante su una genetica di per se predisposta. Gli esseri umani sono in un costante stato di sviluppo dal momento del concepimento fino alla morte. Il nostro sistema nervoso è sensibile all’ambiente, specialmente negli anni della prima infanzia

In alcuni individui l’incapacità di sviluppare adeguati sistemi di risposta agli eventi stressanti della vita si traduce in un comportamento violento. È stato dimostrato che la negligenza e gli abusi nell’infanzia contribuiscono ad aumentare il rischio di commettere violenza in chi ha subito abusi.

Per esempio, Jhon Wayne Gacy (il Killer Clown) autore di almeno trenta omicidi, è stato fisicamente e verbalmente abusato dai genitori, Ted Bundy (lo strangolatore di studentesse) sospettato di oltre 36 omicidi è cresciuto pensando che sua madre fosse la sorella maggiore e che i suoi nonni fossero i suoi genitori. Jeffrey Dahmer (il Cannibale di Milwaukee) aveva una madre malata di mente che ha ingerito numerose droghe mentre lo aspettava.

Gli omicidi ad opera di assassini psicopatici rappresentano un vero rompicapo per le squadre investigative. Nella maggior parte delle indagini, l’omicida conosce la vittima e tra i due intercorre un movente che può essere materiale o sentimentale, e che permette alla polizia di individuare una cerchia ristretta di persone sulle quali fare accertamenti. L’omicida seriale, il killer psicopatico, tende a scegliere la propria vittima tra persone estranee e senza un movente logico.

Organizzato e disorganizzato: due assassini molto diversi

Una classificazione proposta da Roy Hazelwood, e ancora utilizzata dai detective dell’FBI,  distingue i serial Killer in organizzati e disorganizzati. Questa suddivisione è nata dalle interviste approfondite con predatori seriali, condotte dai leggendari agenti dell’FBI John Douglas e Robert Ressler.

I killer organizzati pianificano con intelligenza, astuzia e furtività l’omicidio, lasciandosi dietro poche tracce. Rientrano in questa categoria quei killer considerati in grado di intendere e di volere, e di distinguere il bene dal male, ma che non mostrano alcun rimorso. Generalmente si tratta di individui con un’intelligenza al di sopra della media, spesso attraenti, sposati, impiegati, e istruiti. Possono usare il loro fascino per sedurre e catturare le proprie vittime. Di solito nei casi che coinvolgono questo tipo di killer la polizia analizza tre scene del crimine separate: dove la vittima è stata avvicinata, dov’è stata uccisa e il luogo in cui viene trovato il corpo.

Gli assassini disorganizzati invece non sono metodici, lasciano numerose tracce e sono generalmente affetti da un disturbo mentale. I loro crimini non sono pianificati e di solito lasciano prove come le impronte digitali o tracce di sangue sulla scena del delitto. Spesso hanno capacità comunicative e sociali carenti e intelligenza inferiore alla media. E’ molto comune ritrovare nella loro storia di vita abusi fisici o sessuali.

Ci sono dei casi in cui gli elementi della scena del crimine fanno pensare in parte a un criminale organizzato e in parte ad uno disorganizzato. Questo si verifica, per esempio negli omicidi più assassini coinvolti con diverse personalità. Spesso i killer maturano le proprie strategie di caccia e passano dall’essere classificati come disorganizzati ad organizzati.

Infine, per chi volesse approfondire l’argomento l’FBI ha messo a disposizione il report del panel del 2005 chiamato “Serial Murder Multi-Disciplinary, Perspectives for Investigators“. Lo scopo di questo simposio, l’ultimo del bureau dedicato agli omicidi seriali, era diffondere la conoscenza sui serial killer per aiutare le forze dell’ordine nelle loro indagini.