È stata la voce rotta del Presidente di Cop26, Alok Sharma, ad annunciare la fine delle trattative e l’arrivo ad un accordo che segna la fine della conferenza mondiale sul clima. C’è stato bisogno di un giorno in più rispetto al previsto, di smussare le proprie idee e di tre bozze per giungere a un punto comune, ma sabato sera (13 novembre 2021) i rappresentanti dei circa 200 paesi hanno approvato il testo sulle strategie e gli impegni che li vedranno impegnati nella lotta al cambiamento climatico.

Il motivo del ritardo, seppur fosse aspettato, è stata la presa di posizione di India e Cina contro la volontà di eliminare al più preso le centrali a carbone e i sussidi alle fonti fossili. Il ministro dell’ambiente indiano, Bhupender Yadav, ha difeso il diritto dei Paesi in via di sviluppo di usare “responsabilmente” i combustibili fossili e di avere la stessa quota di carbon budget. Per sostenere il suo argomento, ha anche affermato che “non è compito dell’Onu dare prescrizioni sulle fonti energetiche”. Davanti a queste parole, Sharma non ha potuto che cedere per proteggere il pacchetto “vitale”, seppur esprimendo comprensione per la delusione di molti.

L’accordo finale della Cop26

Come era già stato anticipato nelle giornate precedenti, si è confermato l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale sotto a 1,5°C rispetto ai livelli pre-industriali. Nel precedente Accordo di Parigi si stabilì che la soglia da non superare erano i 2°C che, oggi, rappresentano il piano B. Tuttavia, per rendere concreto questo obiettivo le strategie proposte ad oggi non sono sufficienti. Secondo la BBC, infatti, di questo passo si potrà solo stare sotto ai 2,4°C. In questo scenario, però, bisogna aspettarsi fenomeni metereologici estremi sempre più frequenti e con conseguenze negative, oltre che sul pianeta, su tutti gli esseri viventi.

Altro tema centrale per tutta la durata dell’evento è stato quello della decarbonizzazione. A questo proposito è stato stabilito un taglio netto del 45% delle emissioni di anidride carbonica per il 2030 rispetto ai livelli del 2010. A questo obiettivo segue il piano di registrare la neutralità carbonica entro il 2050. Per rendere tutto ciò realizzabile, ogni Paese dovrà presentare entro il prossimo anno la sua National Determined Contribution (NDC), ovvero la serie di impegni che assumerà per garantire zero emissioni nette. Inoltre, più di 450 aziende in tutto il mondo hanno aderito alla GFANZ, la coalizione che, attraverso lo stanziamento di 130.000 miliardi di dollari, si impegna a dimezzare le emissioni entro il 2030, e ad eliminarne quelle nette entro il 2050.

Se all’inizio si puntava all’eliminazione dell’utilizzo del carbone, come accennato pocanzi, alla fine si è optato, seppur in alcuni casi controvoglia, per una riduzione.

Nel testo finale dell’accordo, inoltre, si rivolge un invito ai firmatari a procedere verso un taglio netto di metano e protossido di azoto – due gas serra che alimentano il riscaldamento globale – e verso l’adozione di fonti energetiche rinnovabili.

Gli accordi specifici fra Stati

Oltre all’accordo finale firmato da tutti i Paesi che hanno preso parte a Cop26, sono stati conclusi anche diversi patti fra gruppi di Stati. Fra questi, quello che forse ha destato più risonanza a livello internazionale è il patto di collaborazione stipulato da Stati Uniti e Cina che hanno accettato di cooperare sotto diversi aspetti (es. fonti rinnovabili e salvaguardia dell’ecosistema) contro la crisi climatica. Di importanza primaria è anche l’accordo per fermare la deforestazione entro il 2030 attraverso lo stanziamento di 19,2 miliardi di dollari, firmato da 134 Stati, fra cui anche il Brasile, la Russia e la Cina.

108 Paesi, poi, hanno aderito a ridurre del 30% le emissioni di metano entro il prossimo decennio. Desta preoccupazione, però, l’assenza di tre dei maggiori produttori del gas serra: Cina, India e Russia. All’incirca una ventina di Stati ha deciso di aderire rispettivamente anche alle iniziative che promuovono di fermare i finanziamenti delle centrali di carbone all’estero e che incentivano l’eliminazione del carbone nella produzione elettrica.

Infine, sono circa una trentina le nazioni firmatarie dell’accordo che prevede la vendita, fra il 2035 e il 2040, di veicoli esclusivamente elettrici. A queste, si sono aggiunte anche alcune Case automobilistiche. Tuttavia, risultano assenti i principali Stati che si distinguono per la loro grossa produzione di autoveicoli. Fra questi, la Germania, gli Stati Uniti, il Giappone, la Cina, ma anche l’Italia. Fra i dissociati, inoltre, Hyundai, Renault, BMW, il gruppo Volkswagen, Toyota e Stellantis.

Cosa manca?

La Cop26 prevede che la transizione ecologica avvenga equamente, considerando l’importanza che tutte le categorie (giovani, donne, e comunità indigene) hanno in questo senso.

Tuttavia, non si è tenuto conto, ancora una volta, dei Paesi meno sviluppati. Se nel documento è stata prevista l’attivazione di un fondo di aiuti alla decarbonizzazione di 100 miliardi di dollari all’anno, nessuna data per la messa in vigore è stata fissata. Il fondo, quindi, come era già avvenuto con l’Accordo di Parigi, non resta altro che una promessa, visto che nessun Paese sembra realmente intenzionato a fornire una somma così ingente di denaro.

Stesso destino per il fondo fortemente richiesto dai Paesi più poveri per coprire i danni provocati dal cambiamento climatico. In questo caso, l’accordo prevede solamente che gli Stati più sviluppati inizino un dialogo per stabilirne l’avvio.

Le reazioni al risultato della Cop26

L’accordo finale varia in alcuni aspetti rispetto agli obiettivi che sono stati promossi per tutta la durata della conferenza. Questo ha dato il via a diverse reazioni da parte dei rappresentanti e delle personalità coinvolte.

Il Presidente della Cop26, Sharma, ha definito l’evento come un momento storico di straordinaria importanza per la salvaguardia del pianeta. Della stessa opinione è Ursula von der Leyen che afferma soddisfatta: “è il nostro momento di scrivere la storia e soprattutto è nostro dovere agire”.

Particolarmente soddisfatto si dice anche il Premier inglese Boris Johnson che, ringraziando Sharma per “l’incredibile” impegno, descrive la Cop26 come “un grande passo in avanti”, seppur ricordando che a partire da adesso ai Paesi spetta un lavoro grandissimo, affinché possano rendere concreti gli obiettivi concordati.

John Kerry, inviato americano per il clima, si mostra compiaciuto per il fatto che per la prima volta si sia parlato esplicitamente del carbone. “Siamo più vicini che mai ad evitare il disastro climatico. Ma abbiamo sempre saputo che Glasgow non era il traguardo, bensì l’inizio di qualcosa”.

Di tutt’altro umore, invece, è il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che afferma che il testo non è altro che un “compromesso” e rimprovera i Paesi di non aver dimostrato abbastanza determinazione politica. Guterres, contrariamente a Kerry, ha infine sentenziato che il disastro climatico è “alle porte” e che il nostro pianeta “è appeso a un filo”.

Particolarmente deluso è anche Lars Koch di ActionAid, un’organizzazione che lotta contro la povertà e per i diritti umani, che ha commentato l’accordo come un “lasciapassare per i paesi più ricchi”.

Non possono mancare, per concludere, i commenti di Greta Thunberg che ha definito la Cop un fallimento totale, un “bla, bla, bla” e che in un tweet ha affermato che “il vero lavoro prosegue al di fuori”.