15 chilometri, 10 miglia, tre ore di marcia: tanto dista Waterloo da Bruxelles. In questa distanza si è giocato uno dei più incredibili scherzi dello storia. Così a quell’epoca dev’essere sembrato ai protagonisti della vicenda.

A uno scherzo dovettero aver pensato gli invitati al Congresso di Vienna, quando l’atmosfera galante e i balli venne interrotta dall’annuncio del ritorno di Napoleone, fuggito dall’Elba e alla testa di un esercito in marcia verso Bruxelles.
Uno scherzo a lieto fine per l’eroe di giornata, il Duca di Wellington che passò l’intera giornata ad aspettare gli alleati prussiani. Give me night or give me Blücher, è la celebre citazione di un inglese che si rivolge ai (non ancora) tedeschi in ritardo per farsi salvare dai francesi.

Una beffa, se vista dal punto di vista del protagonista assoluto delle Storia. Fino all’ultimo istante Napoleone era convinto di essere di fronte a una delle più grandi vittorie del suo genio militare. “I feel like I win when I lose” cantano gli Abba nella loro Waterloo in salsa dance.

Dietro le dolci colline di Waterloo, non si nascondono solo la cavalleria pesante inglese e i prussiani. Tra i morbidi rilievi che spezzano la distesa senza fine di pianura del Brabante si cela anche l’ironia della storia.
Quando tutto sembra volgere verso il successo, il pendolo della storia viene sbalzato indietro. La marcia delle rivoluzione definitivamente arrestata dallo spirito di conservazione del continente.

L’esercito che più di tutti incarna lo spirito razionale dell’epoca dei Lumi è sopraffatto dal caos, da una componente totalmente irrazionale come l’emozione. Il seme di quel sentimento che caratterizzerà il secolo romantico da poco iniziato.

Capita così che la Grande Armée, tanto moderna nel suo ricorso alla leva e alla meritocrazia tra i suoi ranghi, venga sconfitta da eserciti d’Ancient Regime, coi loro valori arcaici di nobiltà e disciplina del bastone.
La fiamma di ritorno della rivoluzione si è così definitivamente spente di fronte allo spirito della Restaurazione.

"Scotland Forever!" Lady Butler
“Scotland Forever!” di Lady Butler – Wikimedia

Qualcuno potrebbe scorgere un ironico ribaltamento nei fatti di questi giorni che vedono il ritiro degli inglesi con il divorzio definitivo da Bruxelles. La Gran Bretagna post-Brexit è un buon osservatorio per valutare oggi l’epopea napoleonica: perché qui Bonaparte è spesso ritratto come l’antesignano di quelle mire egemoniche europee da cui Londra è riuscita a sottrarsi uscendo dalla Ue.

La difficoltà britannica con Napoleone sembra rispecchiare la difficoltà con la Rivoluzione francese: in Europa è l’alba degli ideali di libertà ed eguaglianza, mentre in Gran Bretagna è il prodromo del totalitarismo. Del resto nel Settecento i britannici si vedevano già come liberi, governati dal Parlamento: e dunque la Rivoluzione non poteva rappresentare una fonte di libertà, ma una minaccia. Il senso che i britannici hanno della loro storia è di continuità, con la sensazione di un paese stabile, in cui la rivoluzione costituisce un pericolo.

Napoleone è adoperato come simbolo dell’Unione europea. A Londra rimane l’idea che la Ue, così come è oggi, segua un percorso francese improntato a un’autorità burocratica, sospettosa della democrazia popolare: un governo delle élite. Volente o nolente, nell’Unione Europea rimangono i sintomi di un’ambizione di quello che è stato un padre dell’Europa: Napoleone Bonaparte, la cui storia si è definitivamente arrestata sulla strada per Bruxelles, il cui lascito va bene oltre Waterloo.

Satira Napoleonica

Sulla strada selciata che da Waterloo porto a Bruxelles si possono scorgere i segni del passato che incide sul nostro presente: ecco che tra tragedia e farsa si innesta l’ironia della storia.

A duecento anni dalla sua scomparsa, Bonaparte è ancora una figura cruciale della storia e della politica, nel bene e nel male, dentro e fuori i confini dell’Europa.
Imperatore per grazia di Dio o incarnazione del demonio, Napoleone rimane sospeso tra due secoli e tra due giudizi contrastanti.

Con Bonaparte si arriva a uno dei massimi livelli di contrasto tra la Gran Bretagna e l’Europa nella lunga storia dei conflitti tra Londra e le potenze continentali. Molto spesso risolti, politicamente o militarmente, in una fascia di poche decine o al massimo poche centinaia di chilometri compresa tra gli attuali Francia e Belgio. Perso il pivot continentale con la Guerra dei Cent’Anni la Gran Bretagna si è trasformata in potenza talassocratica quando tra il XVI e il XVII secolo, per citare Carl Schmitt “la nave pirata è uscita dal porto”.

E da allora in avanti la Francia è stata a più riprese la potenza contro cui concentrare la nuova strategia britannica per il Vecchio Continente. Divide et impera, evitare che si potesse formare un blocco continentale capace di soffocare gli accessi marittimi della Gran Bretagna all’impero, di ridurre l’Inghilterra a isola periferica. Non a caso Waterloo fu anticipata dieci anni prima da Trafalgar e, nel 1763, dalla vittoria su Parigi nella Guerra dei Sette anni. Antesignana del ciclo di conflitti dell’età napoleonica, a sua volta modello per un altro progetto di grandeur francese, quella del generale Charles de Gaulle, che, nel rilanciare la Quinta Repubblica di cui fu presidente dal 1958, volle pensare all’Esagono e all’Europa intera come a un costrutto potenzialmente alternativo alle alleanze transatlantiche e al vicino-remoto, quel Regno Unito con cui Parigi mantiene un’atavica contrapposizione.

Emanuel Pietrobon su Inside Over ha sottolineato che indubbiamente “Napoleone fu vinto, oltre da che da una serie di circostanze non previste ma prevedibili (come la nazionalizzazione dei popoli sottomessi all’Impero, dalla Spagna alla Germania), dal fattore Inghilterra”. Tesi questa confermata ne ““Il volo di aquila. L’epopea di Napoleone in 50 istantanee“, saggio curato da Salvatore Santangelo e Piero Visani in cui si sottolinea il ruolo giocato da Londra nel graduale logoramento della potenza francese prima del redde rationem di Waterloo.

Al di là delle sue interpretazioni possibili sulla sua figura, l’ultimo atto di Napoleone alle porte di Bruxelles rimane dunque un momento cruciale per la storia successiva.
Vienna (1815), Versailles (1919), Dunkerque (1940), Omaha (1944), il trattato di Roma (1957) e la Brexit col divorzio che si definitivamente è consumato pochi giorni fa, giustificato dai sostenitori più duri e puri con le parole dell’Enrico V di Shakespeare: “Laddove ci sono i baroni ma non c’è libertà dai baroni stessi, lì io non posso stare”. Comincia tutto da Waterloo e tutto finisce a Bruxelles, in quei 15 chilometri si concentrano due secoli di Europa. Con splendori, miserie e soprattutto ironia.