All’interno di questa rubrica si tenterà di sviscerare e approfondire i ruoli sociali, culturali e civili che la fotografia si trova a ricoprire da centocinquant’anni a questa parte, con la proposta e il commento di immagini che hanno segnato la storia di questo affascinante linguaggio artistico.
Il 22 ottobre 1913 nasce a Budapest Endre Friedmann, nome di battesimo del più noto Robert Capa con cui passerà alla storia come il più grande foto reporter di guerra mai esistito.
I suoi reportage ci hanno regalato preziose immagini capaci di descrivere e documentare alcuni dei conflitti più importanti del secolo scorso; dalla Guerra Civile spagnola fino alla Prima Guerra d’Indocina, passando per la Seconda guerra mondiale. Le sue fotografie sono entrate prepotentemente nell’immaginario collettivo e nella memoria storica del XX secolo.
«Se le tue foto non sono abbastanza buone, non sei abbastanza vicino»
Robert Capa
C’è una foto, in particolare, che si lega a doppio filo agli avvenimenti spagnoli del 1936-1939: quella conosciuta con il titolo di Miliziano spagnolo colpito a morte.
Fin dal giorno della sua pubblicazione questa fotografia ha creato grandi discussioni e diatribe. A distanza di oltre ottant’anni la vicenda del miliziano di Capa continua a essere una delle storie più avvincenti della fotografia. Non è il fatto di cronaca in sé a essere argomento di discussione, quanto il ruolo che deve avere un fotografo che documenta una guerra.
La domanda che ci si pone di fronte a questa fotografia è tutto sommato banale: è stata davvero scattata a Cordoba, nel 1936, nell’esatto momento in cui un militare dell’esercito repubblicano viene colpito a morte dal piombo franchista? Può essere tutta una messa in scena? Stiamo guardando una foto spontanea oppure una scenografia simulata, provata e riprovata chissà quante volte per trovare la posa e l’angolo giusto?
L’eterno quesito è stato anche l’occasione per introdurre un nuovo elemento di discussione, una terza via che si posiziona esattamente a metà tra la fazione del vero e quella del falso.
Elementi che hanno a che fare con l’etica: quando ci si trova a documentare uno scenario di guerra, non sempre esiste solo il vero o il falso, esiste anche il verosimile.
Verosimile è l’unica risposta possibile alla domanda: questa foto è vera o falsa? Tante delle domande degli ultimi anni riguardo il mestiere del fotogiornalista ruotano proprio intorno a questo tema.
Nella raccolta Maledetti Fotografi, a cura di Enrico Ratto, si può trovare una conversazione tra Frank Horvat e Marc Riboud – due giganti della fotografia del Novecento – che sintetizza in modo efficace questa tematica.
Horvat: «Prendiamo il caso del miliziano colpito a morte, nella foto di Capa. Certi hanno sostenuto che fu una messa in scena.»
Riboud: «È falso. Robert Capa non avrebbe mai imbrogliato.»
Horvat: «Lo credo anch’io. Ma lasciami fare l’ipotesi: se questa foto fosse stata messa in scena, mostrerebbe una realtà della guerra che corrisponde, effettivamente, alle osservazioni di Capa. Che ci sarebbe di male?»
Riboud: «Io non la chiamerei una messa in scena, ma una truffa. Ma d’altra parte, il leggendario photo editor di Life, John G. Morris, grande amico di Robert Capa e referente a Londra quando i negativi del D-Day di Capa vennero distrutti in fase di sviluppo, non ha mai avuto dubbi su quella foto.»
Secondo John G. Morris, Capa non parlò mai apertamente di quella fotografia, ma non lo fece perché voleva evitare di costruirsi una reputazione sulla pelle di un compagno ucciso sul campo.
La fotografia del miliziano è diventata, nel corso degli anni, la vera e propria icona della Guerra Civile Spagnola, un manifesto iconografico capace di riassumere nella sua cruda schiettezza gli anni dell’ascesa franchista.
Oggi, dopo oltre ottant’anni, ha ancora senso andare a ricercare le circostanze esatte in cui la foto viene scattata, le precise coordinate geografiche, il nome dell’uomo colpito a morte, o addirittura l’autenticità e la spontaneità dell’immagine?
A voi la risposta.