Dal film alla vera storia” è la rubrica mensile di The Pitch – Olympia, che svela retroscena, curiosità, personaggi, fatti reali e di fantasia che caratterizzano e differenziano le trasposizioni cinematografiche delle più belle storie dello sport mondiale. Un excursus tra realtà e fantasia, in cui la prosa del reale diventa poesia della finzione e su cui i maestri del cinema appongono la ciliegina finale, grazie alle magistrali interpretazioni dei protagonisti e la firma d’autore di registi e sceneggiatori.

Il calcio ha significato troppo per me e continua a significare troppe cose. Dopo un po’ ti si mescola tutto nella testa e non riesci più a capire se la vita è una merda perché l’Arsenal fa schifo o viceversa.
Nick Hornby, Febbre a 90′

Per la nostra rubrica dedicata ai film che narrano vere storie di sport, ricorriamo a un espediente, un piccolo esercizio di stile. L’impronta che abbiamo scelto è impressa da un romanzo al contempo autobiografico e generazionale, scritto di Nick Hornby, ovvero Fever Pitch, che in Italia è stato tradotto in Febbre a 90. Il libro, uscito nel 1992, è stato un esordio di grande successo, incentrato sulla vita dello stesso Hornby, che all’età di 10 anni vende l’anima all’Arsenal. Fin da bambino il calcio è diventato una passione carnale, l’Arsenal la squadra che sublima gli istinti ultras dell’autore. Attraverso lo scorrimento degli anni su due binari paralleli, Hornby racconta le alterne fortune sue e della sua squadra.

Il film, uscito cinque anni dopo il libro, pur non ripercorrendo per filo e per segno il testo dell’omonimo romanzo – anzi, concedendosi diverse digressioni – è davvero ben riuscito, gradevole e anche se in fin dei conti non è altro che una commedia romantica, non risparmia angoli acuti, asprezze e battute politicamente scorrette. Nella finzione cinematografica, la cui sceneggiatura è stata curata dallo stesso Hornby, il protagonista è il professor Paul Ashworth interpretato da un giovane Colin Firth, insegnante sui generis molto popolare tra i suoi studenti, che in sostanza deve compiere una scelta: l’amore per l’Arsenal o quello per l’integerrima (all’apparenza) professoressa Hughes. I due si rincorreranno affannosamente, mentre sullo sfondo viene dipinta passo passo la stagione 1988/89 dell’Arsenal, che all’ultima giornata di campionato torna a vincere la First Division – non si chiamava ancora Premier League – dopo 18 anni.

In quegli anni, il calcio in Inghilterra sta vivendo una dolorosa transizione. Il sangue versato tre anni prima all’Heysel dalla violenza degli hooligans del Liverpool non si è ancora rappreso e, al termine di quella stagione, altre 96 persone perderanno la vita allo stadio Hillsborough, durante la semifinale di Fa Cup tra Nottingham Forest e proprio il Liverpool. La UEFA ha già provveduto ad escludere le squadre inglesi dalle coppe per 5 anni, ma anche il governo britannico decide di intervenire dopo quell’ennesima tragedia: la premier Margaret Thatcher fece approvare il Football Spectator Act, che prevedeva norme altamente stringenti atte a prevenire e punire comportamenti violenti all’interno degli stadi. Inoltre, stabiliva nuovi standard e parametri per gli impianti di gioco. Nonostante le numerose critiche che furono mosse all’epoca, di fatto, fu proprio da quel provvedimento che il calcio inglese, almeno a livello di club, risorse e prosperò. Nel 1988/89, tre anni prima che la First Division assumesse la denominazione di Premier League, la rivoluzione era già in atto: quella fu infatti la prima stagione in cui i diritti televisivi divennero esclusiva di un’emittente privata. Il Liverpool si era dimostrato largamente più forte di tutti, infatti tra il 1975 e il 1988 furono nove i trionfi dei Reds. In quegli stessi anni, la miglior posizione in classifica dei Gunners era stata un misero terzo posto, nel 1981. Il club non vinceva un titolo nazionale dal 1971.

Paul Ashworth e il suo amico Steve. Film “Fever Pitch

Anche l’inizio del campionato narrato nel film non sembra vedere l’Arsenal protagonista. In testa va il Norwich, seguito dal Southampton e dai campioni uscenti del solito Liverpool. I Canaries guidano la classifica per 17 giornate, mentre le big sembrano mancare all’appello. Millwall e Coventry restano a lungo all’inseguimento della capolista, ma dal mese di novembre i Gunners, pur non convincendo appieno, cominciano a rimontate molte posizioni arrivando allo scontro diretto col Norwich, poco prima di Natale, con soli 2 punti di svantaggio. La partita termina zero a zero ma una settimana dopo, il 30 dicembre, avviene il sorpasso. Il Liverpool, nel frattempo sembra sorprendentemente fuori dai giochi. L’inverno trascorre con l’Arsenal capolista, mantenendo un vantaggio che variava nell’ordine di 5/6 punti sul Norwich. Con l’arrivo della primavera però, irrompe il disgelo dei Reds che rimontano fino al secondo posto, fino a quando il primo di aprile vincono lo scontro con il Norwich. A quattro giornate dal termine L’Arsenal ha ancora 5 punti di vantaggio sul Liverpool. I Gunners, cominciano a soffrire di una sindrome molto insidiosa: la paura di vincere. Nelle 3 giornate che seguono, i londinesi incamerano soltanto un punto, il Liverpool invece fa bottino pieno. Quando manca soltanto una partita alla fine, la classifica vede i Reds in testa con 76 punti e l’Arsenal in affanno, a 73. Il discorso parrebbe chiuso, se non fosse che un immaginifico calendario pone le due rivali una contro l’altra, proprio sul gong del campionato.

«La più grande differenza tra la realtà e la fantasia, è che la fantasia deve essere credibile». Questa frase di Mark Twain è il miglior cappello che questa storia possa indossare. Quale romanziere avrebbe potuto fantasticare di un titolo ancora in palio, con la prima e la seconda in classifica che si affrontano all’ultima giornata?
Il Liverpool ospita ad Anfield l’Arsenal, che ha guidato la classifica per più di metà campionato. I Gunners in realtà hanno pochissime possibilità, servono due o più reti per portare a casa il titolo. Il Liverpool non può più presenziare alle coppe, ma basta scorrere la formazione per capire che è una delle squadre più forti d’Europa. Globbelaar, Staunton, Whelan, Aldrige, Rush, Barnes, Mc Mahon. L’Arsenal risponde con giocatori del calibro di Dixon, Thomas, O’Leary, Adams, Rocastle, Smith, Bould.
La trama della partita è prevedibile: Arsenal all’arrembaggio, Liverpool che agisce di rimessa. Molto poco in realtà, perché i Reds badano al sodo, occupano tutte le zone del campo cercando di non concedere alcuno spazio agli avversari.
Al settimo minuto del secondo tempo però si apre una breccia nella trincea dei padroni di casa: calcio di punizione della trequarti campo, la palla giunge ad un solissimo Alan Smith, che dal limite dell’area piccola la tocca di quel tanto, con la testa, per spedirla in rete. Zero a uno.

La famosa scena del gol del film “Fever Pitch“.

Minuto 89′. Il gioco è fermo, Rocastle è a terra in preda ai crampi. John Barnes in mezzo al campo sembra un leone in gabbia. Cammina nervosamente e si guarda intorno, non ha lo sguardo sicuro di uno sportivo a un passo dal successo, piuttosto quello impaurito di chi ha paura di perdere. McMahon è nella sua metà campo e guarda in direzione di tutti i suoi compagni, ad ognuno mostra il dito indice esclamando «One». Un Minuto. La Kop è già in festa. Al suo interno si intonano canti e si battono le mani ritmicamente. Grobbelaar rimette in gioco la palla con un lungo lancio, dopo una serie di batti e ribatti questa arriva a Barnes che si invola verso l’area, ma perde un contrasto e il portiere dell’Arsenal si impossessa della sfera. Il novantesimo è già scaduto, forse c’è tempo per l’ultima azione. Lukic lancia con le mani a Dixon, che guarda oltre l’orizzonte, cerca le maglie gialle dei suoi compagni in mezzo a tutto quel rosso tenebra. Calcia forte, forse troppo, verso Alan Smith che stoppa di petto. La palla sembrerebbe scappargli, invece la mette a terra e senza guardare la deposita dolcemente al centro dell’area avversaria, dove può solo sperare che si sia inserito un compagno. In quella porta dell’universo, che per il Liverpool si sta per tramutare in un buco nero, si è inserito Michael Thomas. Ed è solo al cospetto del portiere. Probabilmente ricorda che nel corso della partita ha già avuto una occasione simile, ma i suoi piedi da centrocampista non proprio raffinato hanno depositato mollemente il pallone tra le grinfie dell’estremo difensore. E magari immagina i tifosi che lo guardano da casa, col sedere sospeso a mezz’aria tra il divano e la gioia, in attesa che lui con quella sua maglia numero 4 decida da che parte tirare. Cerca il tempo giusto per calciare, non è un attaccante e si vede, arma il destro due volte ma poi ci ripensa. La seconda indecisione si tramuta involontariamente in una finta, pochi centimetri lo separano da Grobbelaar, che abbocca, lanciandosi alla propria destra. L’esecuzione di Thomas è proprio da numero 4, uno schifo di tiro, sferrato con una tale paura da poterla leggere nella traiettoria della sfera che si deposita inesorabilmente in fondo al sacco.
Zero a due. Kenny Dalghish, allenatore del Liverpool, sta con le mani in tasca, immobile come una statua di cera. Sembra sperare che da un momento all’altro si alzi una bandierina, si oda un fischio. Ma niente di tutto questo accade.

L’Arsenal campione – © Getty Images

L’arbitro fa riprendere il gioco ma è solo un’illusione, non c’è più tempo. L’Arsenal, dopo 18 anni, e nel modo più incredibile, è campione d’Inghilterra. Le maglie rosse del Liverpool sono disordinatamente stese sull’erba come bandiere ammainate. David O’Leary tenta di consolare John Aldrige, ma quest’ultimo lo caccia in malo modo. È più che comprensibile. I Gunners sollevano il trofeo nello stadio dei rivali, davanti ai tifosi avversari. Una bruciatura sulla pelle, nell’onore dei Reds.

Il calcio, da parte sua, continuerà ad essere più fantasioso della fantasia stessa. Due anni dopo, il Liverpool che nel frattempo avrà riconquistato lo scettro d’Inghilterra, ingaggerà proprio quel Thomas che era stato la sua sentenza di condanna.
Ma nel frattempo, fuori da Highbury, il leggendario stadio dell’Arsenal, demolito nel 2006 per far spazio all’Emirates – segno indelebile del cambio di passo della modernizzazione di un calcio sempre meno romantico – si consuma la festa dei Reds e l’amore tra Paul e la professoressa Hughes.

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Giuseppe Di Girolamo
La passione per lo sport e la scrittura hanno tracciato un indelebile solco, che non ha solo segnato la mia vita, ma l'ha decisamente indirizzata e caratterizzata. Scrivo sul sito il corsivosportivo.it, portale di interviste ed editoriali. All’interno di esso ho aperto la rubrica Off Peak, che tratta di argomenti vari, quali ad esempio, costume, politica, società, cultura e spettacoli. Nel corso degli scorsi anni alcuni dei miei articoli sono apparsi anche sul sito www.gazzetta.it, inoltre sono stato per un breve perdiofo un collaboratore della rivista “FUORIGIOCO” e del sito Gazzettafannews.it. Ho recentemente conseguito un master in giornalismo sportivo, proprio presso Rcs-Gazzetta dello Sport. Le mie collaborazione attualmente in corso riguardano il sito The Pitch e la rivista settimanale Noi Brugherio. Lo sport oltre a raccontarlo, lo pratico: sono infatti un podista a livello amatoriale, ho corso molte della maratone più importanti al mondo tra le quali: Boston, New York, Berlino, Londra, Roma, Valencia e Siviglia.