Siamo al secondo capitolo di questo viaggio alla scoperta dei segreti del sonno. Nello scorso appuntamento abbiamo cercato di dare una visione d’insieme delle principali caratteristiche del sonno. Il focus di oggi è invece sul sogno, le principali teorie e le caratteristiche dell’attività onirica.

Grazie ai progressi della ricerca scientifica sull’argomento, oggi conosciamo molto del sonno e dell’importanza che riveste per il ristoro del corpo e la regolazione degli indici biologici. Relativamente ai sogni, invece, il quadro non appare altrettanto chiaro. A tutt’oggi non esiste una teoria pienamente accettata rispetto al motivo per cui sogniamo, anche se sappiamo che lo stato del sonno REM (Rapid Eyes Movement), caratterizzato da un rapido movimento degli occhi, è quello maggiormente associato all’attività onirica. Sembra infatti che una persona svegliata durante questa fase del sonno abbia l’80% di probabilità di ricordare cosa stesse sognando.

Quando uno psicologo parla di sogni l’immaginario collettivo tende a proiettarsi immediatamente verso la figura di Freud. In effetti è proprio dal lavoro del padre della psicoanalisi che nacque un profondo interesse verso il mondo dei sogni nella cultura occidentale. Nel suo testo “L’interpretazione dei sogni” (1900) Freud ipotizza che, nella maggior parte dei casi, essi abbiano la funzione di realizzare i nostri desideri più nascosti. Secondo questa prospettiva i sogni esprimono le nostre più profonde volontà, i conflitti inconsci che si rivelano a noi nei nostri sogni in forma simbolica. Lo studio del sogno e la sua interpretazione divengono quindi “la via maestra che conduce alla conoscenza dell’animo”.

Nei sogni Freud distingue due elementi: il contenuto manifesto, cioè la “storia visibile” che la persona ricorda e il contenuto latente. Il primo costituirebbe solo una “facciata” del reale significato del sogno, una deformazione del pensiero del sogno necessaria per non fare incontrare il nostro io (l’istanza psicologica che svolge la difficile e delicata funzione di mediare tra gli istinti, le esigenze della realtà esterna e le regole della nostra coscienza morale) con i nostril istinti pulsionali e i desideri più più profondi, tenuti nascosti anche alla nostra stessa coscienza.

Nella prospettiva psicoanalitica capire un sogno significa andare più in profondità del contenuto manifesto (ciò che ci appare nel sogno) per capire i reali significati ad esso associati (contenuto latente).

Una teoria più recente è quella proposta da Hobson e McCarley: l’ipotesi di “attivazione-sintesi”. Il sonno REM si caratterizza per l’atonia muscolare e l’impossibilità di movimenti volontari. Durante questo stadio si attiverebbero, in maniera più o meno casuale, numerosi centri cerebrali inferiori. Sebbene questi messaggi non scaturiscano in dei movimenti e reazioni muscolari, i diversi centri cerebrali continuerebbero a comunicare la loro attività alle aree cerebrali superiori.
Secondo questa teoria, il sogno sarebbe il frutto di un’interpretazione, operata dalle aree superiori del nostro cervello, dei segnali provenienti dai diversi distretti del nostro cervello elaborati attraverso le informazioni immagazzinate nella nostra memoria. Il contenuto spesso bizzarro dei sogni deriverebbe proprio da questa attivazione caotica.

La teoria di Hobson e McCarley non diminuisce l’importanza che può avere l’analisi sogni di un individuo, infatti il ruolo centrale svolto dai ricordi rifletterebbe le nostre maggiori preoccupazioni e l’attività mentale tipica delle nostre giornate.

Un’ulteriore prospettiva sui sogni è quella offerta da William Domhoff secondo la sua teoria neurocognitiva dei sogni,  l’attività onirica sarebbe fortemente associata alle emozioni e ai pensieri che viviamo durante la veglia. Le nostre preoccupazioni quotidiane ci accompagnerebbero anche nel sonno. La differenza principale rispetto alla teoria psicodinamica sta nel fatto che secondo questa prospettiva non è necessario cercare significati simbolici profondi per capire i sogni.

Recentemente è stata posta l’attenzione sull’elevata attività amigdalica durante i sogni. L’amigdala è un piccolo centro situato nella parte dorsomediale del lobo temporale del cervello ed è una zona ampiamente implicata nella gestione delle reazioni emotive, in particolare di quelle di paura. L’elevata attività di questo nucleo in fase REM ha portato alcuni ricercatori a supporre che il sonno possa svolgere la vitale funzione di simulazione e preparazione rispetto a possibili minacce esterne. Ognuna di queste teorie ha i propri punti di forza e le proprie debolezze. La maggior parte delle ricerche comunque sembra sottolineare l’importanza del legame che collega i sogni alla quotidianità e il riflettersi degli elementi salienti della veglia durante i sogni.

Non sogno o non ricordo di avere sognato?

Non tutti riescono a ricordare i propri sogni l’indomani con uguale facilità

Ci sono persone estremamente abili, in grado di raccontarci quasi ogni mattina resoconti dettagliati dei propri sogni. Allo stesso modo possiamo incontrare persone che ritengono di non sognare affatto dal momento che non riescono a ricordare nemmeno un sogno per molti mesi.

Alla base di queste differenze potrebbero esserci diversi fattori. Le probabilità di ricordare un sogno crescono notevolmente se si viene svegliati durante il sonno REM. Non sorprende dunque che chi si caratterizza per una tendenza maggiore a svegliarsi in  queste fasi del sonno avrà anche maggiori probabilità di ricordare il contenuto dei propri sogni.

Un ulteriore elemento che influisce sul ricordo dei propri sogni è la profondità del sonno stesso. Chi dorme profondamente e serenamente tende a ricordare di meno i propri sogni il mattino seguente.

Al contrario chi è affetto da vari tipi di sindromi del sonno o da un elevato numero di microrisvegli notturni ha più probabilità di ricordare i propri sogni il mattino seguente. Per esempio le persone affette da apnee notturne (un disturbo respiratorio durante il sonno caratterizzato da frequenti microrisvegli notturni, dei quali il paziente può non essere cosciente) tendono a ricordare molto bene i propri sogni. Quando però il disturbo viene efficacemente trattato, questa tendenza si esaurisce.

Uno degli elementi che fondamentali rispetto alla nostra propensione a ricordare i nostri sogni è la volontà stessa di ricordarli.
Sembra che l’autosuggestione e la forza di volontà possano accrescere notevolmente la capacità di ricordare i sogni. Per esempio, le persone che si sottopongono a trattamenti psicologici in cui vengono invitate a discutere e ad analizzare i propri sogni, tendono ad aumentare la propensione a ricordarseli e diventano sempre più brave a richiamarli alla memoria.
Tenere un quaderno dei sogni sul comodino non solo contribuisce ad evitare che alcuni dettagli del proprio sogno vadano perduti ma agisce come stimolo endogeno e come rinforzo alla memorizzazione del materiale onirico.

Anche il contenuto stesso del sogno gioca un ruolo fondamentale sulle probabilità di ricordarlo o dimenticarlo il mattino seguente.

Secondo alcuni teorici del sonno durante la maggior parte dei nostri sogni viviamo scene abitudinarie della nostra vita (per esempio il percorso che facciamo per andare al lavoro o all’università) che vengono rapidamente dimenticate. La mente umana tenderebbe a ricordare quei sogni che per le loro caratteristiche surreali catturerebbero la nostra attenzione.

Il sogno e “l’eureka”

Ci sono numerose testimonianze di persone che hanno trovato nei sogni le soluzioni a problemi di varia natura. In alcuni casi i sogni hanno stimolato la creatività in altri invece hanno aiutato a risolvere importanti dilemmi scientifici.

Prendiamo ad esempio il caso del chimico tedesco Friedrich August Kekule e la sua scoperta della struttura dell’anello benzenico.

La struttura dell’anello benzenico è considerata uno dei problemi più complessi con cui si sia confrontata la chimica organica nel secolo scorso. Kekule scoprì che la molecola di benzene andava rappresentata come un anello, e descrisse con queste parole il sogno che lo condusse alla geniale intuizione:

Nella mia mente traboccante di innumerevoli immagini simili a questa, potevo vedere forme grandi e strane, lunghe catene. Le forme si contorcevano come serpenti, all’improvviso accadde qualcosa: un serpente si afferrò la coda e formò una struttura ad anello che ruotava rapidamente davanti ai miei occhi. Mi sentii come se fossi stato colpito da un fulmine e mi svegliai.

Le principali rappresentazioni del benzene. La struttura ad anello fu scoperta da Kekule durante un sogno.

Il caso di Kekule non è isolato, Robert Louis Stevenson, per esempio affermò che la  trama del famoso “Dottor Jekyll e Myster Hide” sia stata ispirata quasi nella sua interezza da un unico sogno.

Anche l’opera più famosa del violinista Tartini “il trillo del diavolo” (il brano preferito di Dylan Dog, il celebre Indagatore dell’incubo nato dalla fantasia di Tiziano Sclavi) fu ispirata da un sogno del compositore. Tartini sognò infatti il diavolo suonare una melodia in modo così magistrale che al suo risveglio non poté evitare di cercare di recuperare la meravigliosa melodia.

Sebbene non sia chiaro quanto ci sia di vero in queste storie, sono numerosi gli studi che hanno trovato una correlazione positiva tra l’attività onirica e miglioramenti di performance in compiti che misuravano le abilità di pensiero laterale e la ricerca di soluzioni creative. Per esempio in uno studio guidato da Sara Mendnick (2009) i partecipanti che passavano un breve periodo in sonno REM avevano performance migliori in un compito di associazioni creative tra coppie di parole rispetto ai partecipanti che si risvegliavano da un sonno non REM o che non avevano dormito affatto.


Non è la prima volta che The Pitch parla di sonno e sogni, leggi anche: