I cambiamenti politici ed economici che hanno fatto seguito alla fine della Guerra Fredda hanno posto le basi per la nascita di un nuovo mondo, quello della globalizzazione. In questa neonata realtà, avveniristiche tecnologie hanno fatto la propria comparsa, abbattendo quelle frontiere che per secoli sono state la difesa, ed il punto di forza, dello Stato-Nazione. Così, in maniera del tutto inaspettata, quest’ultimo si è riscoperto vulnerabile difronte ai mutamenti che la nuova epoca ha portato con sé, mostrando il fianco a quegli attori che per primi sono riusciti a comprendere la flessibilità e la permeabilità di questa “modernità liquida”, così come è stata teorizzata da Zygmund Bauman nell’omonima opera.

Contemporaneamente, le riforme economiche che hanno accompagnato un simile processo e rappresentato la base di partenza per l’espansione su scala globale del libero mercato e del capitalismo sfrenato, hanno costituito un ulteriore stimolo ad infrangere (legalmente e non) le barriere geografiche del vecchio mondo, fiaccando sempre di più la presa dei governi sui propri territori. Prima che ce ne si potesse rendere conto, le merci attraversavano i continenti con una rapidità mai vista, e con esse le persone imparavano a conoscere realtà geografiche un tempo impensabili da avvicinare. Sembrava l’inizio di una nuova era per l’essere umano: un’epoca dove libertà di pensiero e di movimento crescessero di pari passo, forti di una pace globale e del progresso prodotti dal libero mercato.

In parte si è trattato di tutto questo ma, ahinoi, c’è stato anche dell’altro.

La criminalità organizzata, infatti, ha fiutato per prima i vantaggi che una simile dilatazione dei confini e delle libertà comportava, precorrendo gli sviluppi in ambito produttivo e commerciale, finanziario e tecnologico, muovendosi con sagacia tra le maglie colpevolmente troppo larghe dell’economia globale: per prima ha saputo carpire i segreti e le opportunità del nuovo mondo, sfruttandone la struttura duttile e dimostrando essa stessa un’enorme capacità di flessibilità; per prima ha affondato, quindi, i propri artigli nelle carni giovani della neonata realtà globalizzata.


Discorso di Boutros Boutros Ghali, ex Segretario Generale delle Nazioni Unite, in occasione della Conferenza Mondiale sul Crimine Organizzato, 21 Novembre 1994. (Fonte foto: nydailynews.com)

In brevissimo tempo, grazie alla asimmetria tra l’aumento sproporzionato dei flussi commerciali e la contemporanea diminuzione dei controlli, quelle tratte e quelle tecnologie che dovevano rappresentare la calce per costruire le fondamenta di una nuova realtà globale, sono diventate gli strumenti di un male ritrovatosi magicamente libero e incontrollato. Grazie all’applicazione scriteriata, un po’ dappertutto, di politiche liberiste scimmiottate dal modello americano, in pochi anni la criminalità organizzata è riuscita a incrementare in maniera colossale la mole delle proprie attività, immagazzinando capitali inimmaginabili solamente qualche tempo prima.

Seguendo dogmaticamente la rotta del profitto, le mafie globali hanno così espanso il proprio raggio d’azione oltre i confini nazionali, infiltrandosi in ogni settore dell’economia, legale o illegale che fosse, arricchendosi a dismisura. Sintomo evidente di questo incremento degli affari criminali, è stata la crescita esponenziale della quantità di denaro sporco in giro per il mondo: era il 1998 quando Michel Camdessus, direttore del Fondo Monetario Internazionale, nel corso di una riunione plenaria circa il riciclaggio di denaro ammetteva che l’ammontare di tale fenomeno potesse essere stimato tra il 2 e il 5% dell’economia globale. Una cifra che definiva “al di là di ogni immaginazione”, ma che era tristemente destinata a raddoppiare in poco più di 5 anni.


(Fonte: www.stearsng.com)

Del resto, è stata la stessa criminalità organizzata a rimanere in parte sorpresa dagli incredibili (e fin troppo facili) vantaggi che ha portato lei la “transnazionalizzazione” degli affari. Vantaggi che non ha mai avuto intenzione di mettere a repentaglio. Si è cercato quindi di sanare, piuttosto che esacerbare, i conflitti e le diatribe tra le grandi mafie mondiali: dialogo e collaborazione, adesso promossi su scala globale, sono ben presto diventati le nuove parole d’ordine del buon vicinato criminale. È l’era della “pax mafiosa”, così come l’ha definita Claire Sterling in “Thieves’ World: The Threat of the New Global Network of Organized Crime” (1994), ovvero una fase caratterizzata da una serie di alleanze, o quantomeno di convergenze di interessi tra i principali gruppi criminali del mondo.

Accresciuta in questo modo la propria potenza e raggiunta una parziale stabilità, le mafie internazionali hanno poi deciso di seguire il modus operandi delle grandi imprese: diversificare i settori di investimento e ricercare contatti nella politica, in modo da garantirsi gli appoggi e la protezione necessaria al prosperare dei propri traffici. E così è avvenuto.

Le mafie italiane, Cosa Nostra americana, la Yakuza, le Triadi cinesi, la Maffya turca e le mafie balcaniche, così come le altre grandi realtà criminali presenti nel resto del mondo, nel corso degli ultimi tre decenni sono riuscite ad allacciare legami con le sfere politiche dei propri paesi d’origine, intrattenendo con queste rapporti di interesse reciproco che favorissero tanto l’ascesa delle prime, quanto l’affermazione delle seconde nei rispettivi quadri di governo.

Da quel momento in poi, i gruppi criminali in questione non hanno fatto altro che espandersi a macchia d’olio, inglobando e fagocitando tutti quei settori dell’economia, della politica e della società, che potessero garantirgli benefici e / o un ritorno economico. Sono loro i campioni della globalizzazione. E l’emergenza criminale attuale, per quanto sotterranea e impercettibile ai più, ne è la diretta conseguenza.