Il Libano è stato per molto tempo l’unico Paese di lingua araba nel quale la popolazione  musulmana era la minoranza. Partendo da questa evidenza,  la storiografia europea ha investito questo territorio come il primo centro di resistenza araba all’amministrazione ottomana. Questa chiave di lettura nasce dell’erronea considerazione delle vicende libanesi come un processo di affrancamento nazionale,  che ha inizio nel 1516, e  che l’intervento francese ha agevolato nel primo dopoguerra. L’azione di Parigi ha solamente accelerato dei processi storici e politici legati allo sviluppo dei rapporti di forza tra le comunità del Libano. L’instabilità sociale odierna è il risultato delle dinamiche intercorse tra i diversi gruppi di potere nel corso dei secoli. 

Possiamo individuare l’inizio di questo graduale processo quando, nel 1516, il sultano Selim I affidò l’amministrazione a un notabile locale della comunità drusa che si riconosceva vassallo di Istanbul, ma che cercava di limitare il pagamento dei tributi alla Sublime Porta. 

Alla fine del XVI secolo un importante signore druso Fakhreddine Maan II creò una entità autonoma che prese il nome di emirato del Monte Libano (area più piccola rispetto all’odierno Libano, raccolta attorno al territorio montagnoso del monte includeva Beirut e la Valle della Bekaa).  

©wikipedia

Il Monte Libano si rivelò un efficace rifugio per le minoranze perseguitate, grazie alla conformazione morfologica del terreno che ospitò le comunità  di maroniti (cristiani), drusi (musulmani) e sciiti (musulmani) rappresentando un esperimento unico dove  si mescolavano aspetti antropologici diversi. 

Il sistema del Monte Libano creò uno spirito comunitario, che precedette quello della creazione di uno stato moderno nazionale. 

La struttura comunitaria di stampo confessionale può essere interpretata come l’espediente socio-politico che ha caratterizzato per secoli l’amministrazione dell’emirato dove ciascuna comunità era governata dalle rispettive autorità religiose. 

Queste autorità erano sostenute da istituzioni organiche sottomesse a giurisdizioni autonome a cui era concessa la legittimità di applicare leggi e costumi propri. 

Queste comunità così  “federate” crearono una simbiosi socio-economica riconoscibile nel microcosmo della montagna (Monte Libano) grazie alle capacità del fondatore Fakhreddine Maan II. L’azione di questo notabile druso gettò le basi della prima struttura politica del Libano moderno, tanto da meritarsi l’appellativo di “grande”. 

Fakhreddine Maan II il Grande ©wikipedia

La sua morte per mano ottomana non fermò il processo libanese. La sua eredità fu raccolta dalla famiglia della comunità sunnita degli Chehab che, in seguito,  si convertì al cristianesimo della chiesa maronita.  

La presenza maronita avvicinò la Francia al Libano. All’inizio del XVIII secolo, Parigi si presentò come protettrice dei cristiani d’oriente, gettando così le basi di un’influenza che durerà qualche secolo.

Un discendente della  famiglia Chehab Bechir II (1788-1840) attuò un vero e proprio auto-governo nella montagna libanese, incentivando la politica di collaborazione e armonia tra le comunità. Pur con tante difficoltà, dovute a screzi tra famiglie  e gruppi rivali,  l’emirato riuscì a creare un ambiente in cui tutte le componenti riuscirono a trovare una propria dimensione. In questo periodo, spinto dalla comunità drusa,  il Libano stabilì il proprio centro di gravità nel Monte Libano centrale. Nonostante l’emirato non comprendesse le zone di Tripoli e Sidone, governate da due pascià sottoposti a Istanbul, agli occhi dell’Europa l’emiro del Monte Libano era considerato l’emiro del Libano.

Chehab Bechir II ©wikipedia

Per un breve periodo, dal 1832 al 1840, il territorio libanese fu occupato e controllato da Ibrahim Pacha, figlio del viceré d’Egitto che si ispirava a principi liberali di stampo occidentale. La politica egiziana fu  tollerante e promosse l’istruzione e i commerci. Durante l’intermezzo egiziano l’influenza occidentale accentuò la sua azione in Libano sia economicamente che culturalmente. Uno degli aspetti più importanti dell’azione di Ibrahim Pacha fu la liberalizzazione della proprietà anche in favore delle comunità cristiane, andando così a limitare il campo d’azione della comunità drusa, da sempre detentrice del potere economico del Monte Libano. Il governo egiziano fu spettatore di rivolte causate dai livelli di tassazione elevati e dall’introduzione della coscrizione obbligatoria. Le mancate promesse egiziane di ottenere più autonomia spinsero i cristiani maroniti ad allearsi con i drusi per cacciare gli invasori. 

L’esperienza egiziana aveva minato gli equilibri: i drusi aspiravano a rientrare nei  loro antichi privilegi a scapito dei cristiani, ciò provocò un cambiamento istituzionale che scaturì in una divisione territoriale del Libano per comunità religiosa.

Tra il 1842 e il 1860 il nord venne posto sotto il controllo maronita mentre il sud andò in favore dei drusi. Ciascuna area ebbe una propria legislazione, soggetta però  al pascià ottomano della città di Sidone. La rottura di questi equilibri portò gli scontri, che prima erano a livello familiare, a livello di comunità religiosa, portando lo scontro sul piano confessionale.  

In questo scontro si innestò anche quello delle potenze che minavano i fragili equilibri dell’impero ottomano. L’ azione francese già da tempo supportava la comunità maronita, mentre quella britannica sosteneva la comunità drusa. In questo sovrapporsi di scontri scoppiarono numerose rivolte. Sostenuti dalla potenza inglese, i drusi riuscirono a contenere la rivolta nelle zone di loro diretta influenza espellendo e massacrando i contadini maroniti.  Lo scontro più duro si verificò nel 1860, estendendosi anche nella vicina Siria, costringendo la Francia ad intervenire militarmente. 

Questi episodi portarono Parigi a proporre l’idea di creare uno stato cristiano maronita sfruttando un sentimento nazionale basato sulla condivisione religiosa della comunità. Tra le conseguenze di questo periodo vi fu la graduale trasformazione dei gruppi da socio-religiosi a movimenti politici, polarizzando di fatto la società libanese. 

Le tanẓmāt (politiche di riforme dell’impero ottomano influenzate da quelle liberali dell’occidente) consentirono alle comunità cristiane di ottenere l’equiparazione con le comunità musulmane, ottenendo l’uguaglianza civica dei non musulmani con i musulmani.

Nel 1861 le potenze europee, in accordo con l’Impero ottomano, stilarono un nuovo statuto per il Monte Libano che venne chiamato “Piccolo Libano”. Tale configurazione rimase in vigore fino allo scoppio della Prima guerra mondiale. Lo statuto diede vita al regime della mutaṣarrifiyya, un’unità amministrativa governata dal mutaṣarrif, nominato dal governo ottomano, e assistita da un’assemblea che rappresentava i diversi gruppi presenti nell’area secondo una ripartizione proporzionale: 3 drusi, 4 maroniti, 2 greco-ortodossi, 1 greco-cattolico, 1 sunnita e 1 sciita

©wikipedia

Da questo provvedimento in avanti la suddivisione del potere in Libano fu basata sulla suddivisione del potere in proporzione tra le comunità religiose principali. Questa configurazione trovò spazio nell’ordinamento ottomano attraverso il “regolamento organico” che prevedeva l’abolizione di tutti i privilegi feudali, la perfetta eguaglianza davanti alla legge delle popolazioni residenti sul territorio del Monte Libano e la sperimentazione di una suddivisione del potere tra le comunità su scala limitata. Questa riforma accontentò sia ottomani che potenze europee, senza però considerare che la miccia in Libano era stata appena accesa. La nuova configurazione portò un incremento ai commerci e all’economia libanese, dovuta al connubio tra le comunità del Monte Libano con i commercianti di Beirut, creando così un flusso di ricchezza che limitò le differenze tra le comunità. 

Allo scoppio della Prima guerra mondiale il governo centrale dell’Impero ottomano sospese il regolamento organico e assunse  il controllo diretto del Mutasarrifato del Monte Libano . Molti libanesi vennero giustiziati perché ritenuti rei di collaborare con le potenze occidentali dell’Intesa. 

In questo periodo, i leader della chiesa maronita avviarono una massiccia campagna per creare uno Stato indipendente maronita sotto protettorato francese.

Con la fine della guerra e la disgregazione dell’Impero ottomano i territori libanesi passarono sotto il mandato francese (accordi Sykes-Picot).  Si concretizzò l’idea della formazione del Grande Libano ossia di una entità territoriale più ampia che comprendesse, oltre al Monte Libano, altre zone limitrofe che, storicamente ed economicamente, avevano avuto legami e sviluppi molto diversi, quali la Valle della Bekaa, l’area di Tripoli e il Sud del Libano.

Le nuove aree incluse nel Grande Libano comprendevano comunità diverse da quelle del Monte Libano.  Le aree della Valle della Bekaa e del Sud del Libano erano state sotto il vilayet di Siria ed erano a maggioranza sciita. La zona di Tripoli, a nord, era stata per un lungo periodo un vilayet ottomano separato, così come  la fascia costiera. 

Nel 1926 venne promulgata la prima costituzione libanese, nasceva così la repubblica libanese che restava però legata al mandato francese. 

Per approfondire:

Rosita Di Pieri, Il Libano Contemporaneo, Roma, Carocci, 2009