L’equilibrio della società libanese negli anni Settanta aveva raggiunto un punto di rottura. Ogni comunità si era dotata di milizie armate che avevano lo scopo di tutelare la propria identità e l’integrità nazionale da aggressioni esterne. Oltre alla minaccia israeliana, il Libano correva il rischio di entrare nell’orbita siriana, divenendone di fatto una provincia che sarebbe stata utilizzata come sbocco principale sul Mediterraneo.
Prima di sintetizzare le vicende della sanguinosa guerra civile dal 1975 al 1990, occorre passare in rassegna le varie formazioni armate.

Il Fronte libanese fu il primo raggruppamento politico a nascere come reazione agli accordi del Cairo. Costituì la prima formazione militare insieme la falange maronita, sorta per contrastare la presenza delle milizie palestinesi. Formata principalmente da esponenti della media borghesia cristiana, aspirava ad dare vita a riforme modernizzatrici per il paese.

Ben presto la galassia maronita si spaccò al proprio interno, dando luogo alla prima di una lunga serie di scissioni che si sarebbero susseguite tra di loro durante la guerra civile. Ancor prima che il Fronte Nazionale fosse costituito, numerosi dei suoi futuri leader avevano affiancato ai loro partiti politici delle milizie armate: in particolare modo il “Partito dei Nazionalisti Liberi” di Camille Chamoun – le cui milizie si chiamavano “Tigri dei Liberi”. L’ultima frangia armata maronita era costituita dalle Brigate Marada, o Esercito di Liberazione, un’organizzazione armata di ispirazione cristiano-liberale.

Soldiers of the Kataeb phalanx pose in front of a large crucifix. | Location: Lebanon. ©Alain Nogues/Sygma/Sygma via Getty Images

Dall’altro lato, i musulmani si sentivano sotto-rappresentati rispetto ai cristiani, e grazie alla spinta del leader Kamal Jumblatt, un druso – una confessione di derivazione musulmana sciita – si unirono nel Movimento Nazionale Libanese, a cui si aggiunsero le milizie palestinesi dell’OLP e dell’FPLP. Il Movimento nazionale – per l’80% composto da musulmani – costituì milizie vicine alla Siria, in particolare provenienti dal partito Ba‘ath, a cui Jumblatt affiancò l’Armata popolare – Forze di Kamal Joumblatt.

Il fronte musulmano vide la nascita del movimento Amal, fondato dall’imam Musa al-Sadr nel 1974. Inizialmente nato in  difesa dei poveri e dei diseredati, ben presto divenne un movimento a dominanza sciita. 

Nel 1982, come conseguenza di una serie di fattori tra cui la scarsa rappresentanza della comunità sciita nello stato libanese, l’influenza della rivoluzione islamica in Iran e le cocenti sconfitte con Israele del ’78 e dell’82, nacque un movimento destinato a diventare un attore chiave nella storia del Libano moderno: Hezbollah, “il partito di Dio”. Il movimento, nato dapprima come formazione militare per poi divenire partito politico nel 1992, ha inossidabili legami con l’Iran e riconosce la leadership dell’ayatollah Khomenei in base al manifesto programmatico presentato ufficialmente nel 1985.

A young woman from the Amal movement, a Shiite organization in Lebanon, reaches out to a picture of Ruhollah Khomeini as she holds a position in the Chiah district of Beirut. © Jacques Langevin/Sygma/Sygma via Getty Images

Oltre a queste formazioni nacquero delle milizie supportate da attori regionali che foraggiarono i nuovi gruppi armati.

Israele supportò il cristiano Saad Haddad, membro di spicco dell’esercito libanese, che intendeva creare una zona cuscinetto nel Sud del paese, libera dalla guerriglia dell’OLP. Gli israeliani finanziarono ed addestrarono le truppe di Haddad, che presero il nome di Esercito del Sud del Libano (ESL). Numerose azioni di matrice israeliana nel sud del paese vennero condotte da ESL che si scontrò con le milizie palestinesi, di Amal e, successivamente, di Hizballah.

Accanto ai gruppi libanesi occorre menzionare le già citate milizie palestinesi, che si riconoscevano nell’OLP, il movimento di liberazione nazionale palestinese, fondato nel 1964 a Gerusalemme e, dieci anni più tardi, riconosciuto dalla Lega Araba come legittima “rappresentante del popolo palestinese”. Al suo interno, l’OLP presenta un ventaglio di ideologie sostanzialmente laiche espresse da diversi movimenti palestinesi impegnati nella lotta per il conseguimento dell’indipendenza palestinese e per la “liberazione” delle regioni “palestinesi”. Lo Statuto originale dell’Organizzazione riconosceva “la Palestina all’interno dei confini che esistevano al momento del mandato britannico“, facendo riferimento al diritto al ritorno e all’auto-determinazione per i palestinesi. Nel 1974 il presidente dell’OLP, Yasser Arafat, ha identificato uno Stato indipendente nel territorio del Mandato di Palestina per poi, nel 1988, proclamare la creazione dello Stato della Palestina – sia pure con un governo palestinese in esilio – nei termini della Risoluzione n. 181 dell’ONU, riconoscendo ufficialmente una soluzione a due Stati, con Israele e la Palestina che vivono fianco a fianco e con Gerusalemme Est come capitale dello Stato di Palestina.

An armed fighter raises his arm in victory as he stands next to a Palestinian flag near a destroyed building. ©Maher Attar/Sygma via Getty Images.

Lo sviluppo delle milizie fu agevolato dalla situazione in cui fu relegato l’esercito libanese, che dopo l’indipendenza sarebbe dovuto diventare il fulcro del nuovo Libano e il controllore dell’equilibrio tra le comunità. Composto prevalentemente da maroniti e drusi, nel corso degli anni l’esercito perse il suo ruolo anche a causa delle attività assegnate dal deuxième bureau. Una così numerosa presenza di gruppi armati intensificò, negli anni precedenti alla guerra civile, le attività delle milizie. Dal 1973 le più attive furono le componenti nate  dal partito Kataeb e delle altre milizie della destra maronita.

In campo internazionale iniziò una concreta azione siriana che mirava a rafforzare la sua posizione come attore regionale. L’impegno siriano era spalleggiato dall’avvicinamento di Afez al-Assad (padre di Bashar al-Assad) agli Stati Uniti. L’obiettivo principale di Damasco era quello di inserire il Libano in un contesto panarabo, andando oltre ai progetti di costituzione di una Grande Siria, facendo da contraltare alle pressioni israeliane a sud del paese.

L’influenza siriana si manifestò attraverso il supporto all’OLP e ai gruppi sciiti, come Amal. Accanto al sostegno ai gruppi armati, la Siria cercò di intimidire il governo libanese anche con misure diplomatiche e commerciali: chiusura dei confini, richiamo in patria dei lavoratori siriani, ma soprattutto l’ipotesi di un intervento militare.

Queste ragioni portarono all’esasperazione dello scontro tanto da far scoppiare la guerra civile. Il pretesto fu un incidente verificatosi a Ain Rummaneh, un quartiere cristiano di Beirut, il 13 aprile del 1975, quando venne aperto il fuoco durante una funzione religiosa a cui stava assistendo il leader maronita della milizia della Falange, Pierre Gemayel. La rappresaglia maronita non si fece attendere. I gruppi della falange attaccarono un autobus palestinese, uccidendo 28 passeggeri, per la maggior parte palestinesi. 

Di lì a poco Beirut si trovò divisa in due dalla linea di demarcazione nota come Green Line: a est la parte cristiana, e a ovest la parte musulmana. Si trattava di un vero e proprio confine, con cecchini, posti di blocco e continui scontri tra fazioni opposte. La guerra civile libanese era appena iniziata.

Fotogramma tratto dal film “West Beirut”, diretto dal regista libanese Ziad Doueiri.

In poco tempo gli scontri si coinvolsero l’intero paese, mettendo di fronte le milizie maronite da un lato e il Movimento nazionale e le milizie palestinesi dall’altro.
Questa prima fase di guerra rimase un affare interno libanese, uno scontro politico tra le forze della destra cristiana (Fronte libanese) e quelle della sinistra libanese (Movimento nazionale). Tra gli obiettivi di quest’ultimo vi era la progressiva abolizione del confessionalismo. Lo scontro scoppio per le strade ma si trasformò ben presto in un caso politico. Mentre le componenti libanesi (il presidente della repubblica, il maronita Frangié, e il presidente del consiglio, il musulamano Karamé) discutevano per risolvere la soluzione, le potenze regionali antagoniste, Siria e Israele, iniziarono a preparare il proprio intervento.

I colloqui tra le parti politiche portarono ad un nulla di fatto e ci fu aumento degli scontri, evidenziando l’intenzione maronita di creare un secondo Stato di Israele cristiano, una Sion maronita. Il proposito della falange fece intervenire, direttamente, la Siria nel conflitto. Inizia così quella che è stata definita la seconda fase, che va dal 1978 al 1989, con l’intervento esterno e l’arabizzazione dello scontro. 

Da scontro interno la guerra civile libanese divenne una guerra regionale ed internazionale, in cui il Libano divenne un campo di battaglia su cui fronteggiavano vari attori; l’importanza della posta in gioco portò anche gli Stati Uniti ad interessarsi al conflitto.  

I gruppi maroniti attaccarono i campi profughi palestinesi a sud-est e a nord di Beirut. Tale azione ebbe come ritorsione l’attacco ad alcune aree maronite. Questa situazione accentuò la disgregazione dell’esercito libanese, che non fu impiegato nello scontro per limitare l’azione delle milizia, anzi molti militari sunniti si ammutinarono per formare l’Armata Araba del Libano: da questo momento in poi iniziò una corsa ad accaparrarsi i materiali dell’esercito che vennero recuperati dalle fazioni in lotta. 

Intanto a livello politico i partiti cercavano di avanzare proposte che potessero portare ad una soluzione tra le parti, come la ripartizione delle cariche – 50% tra cristiani e musulmani – ma senza soluzione.
A questo punto il presidente libanese chiese alla Siria di intervenire e il 9 aprile 1976 fu raggiunto un primo cessate il fuoco. Le truppe di Damasco avevano iniziato ad entrare in territorio libanese, diventando garante della transizione e della convocazione di nuove elezioni. 

I timori siriani erano molteplici, da un lato Damasco non gradiva la divisione del Libano a vantaggio di una minoranza religiosa, quella maronita, che avrebbe potuto creare un effetto domino anche in Siria; dall’altro, cercava di limitare l’azione palestinese che per Damasco avrebbe limitato i progetti di creazioni di Grande Siria, offrendo il contributo alle milizie cristiane. Per limitare l’influenza siriana e l’azione dei gruppi armati furono inviate in Libano truppe di interposizione a seguito di una risoluzione della Lega Araba; il limitato contingente, composto prima da truppe sudanesi a cui si aggiunsero quelle libiche, non ostacolò le milizie maronite che compirono numerosi raid a danno delle posizioni palestinesi. Nemmeno le truppe siriane intervennero, anzi Damasco aveva da tempo rifornito di armi la Falange in chiave anti OLP. 

Fu solamente nel mese di ottobre 1976 che la Lega Araba raggiunse un accordo per cessare le ostilità, siglando la Risoluzione di Riyadh. Questo accordo prevedeva un cessate il fuoco generalizzato e la costituzione di una forza di interposizione di 30.000 uomini che sarebbe stata posta sotto il controllo del presidente Sarkis. Il contingente si sarebbe chiamato  Forza araba di dissuasione (FAD) e fu posto alle dipendenze del presidente libanese, come strumento di stabilizzazione per il Paese. Non ricevendo contributi di forza da altri Paesi, la forza venne costituita interamente da personale siriano, che così ebbe un mandato internazionale per poter rimanere in Libano. 

20 March 1978 showing Israeli soldiers at the river Litani, South Lebanon, after the Israeli invasion of the south of Lebanon. Lebanon marks Sunday 14 March the anniversary of the 1978 invasion, the first in a series of violent military incursions that left eight percent of the Lebanese territory occupied. © DSK/AFP via Getty Images

Iniziò un momento di pausa per i combattimenti, ma il clima rimaneva teso e nel sud del paese ritornava lo spettro di Israele pronto ad avviare azioni contro le postazioni palestinesi. La presenza dell’OLP non era gradita nemmeno ai confratelli musulmani libanesi che contestavano il mancato rispetto delle disposizioni del FAD e condizionava il ritorno alla normalità dell’intero Paese. 

La tensione ritornò alta nel marzo 1978 quando Israele avviò l’operazione Litani a seguito di un attentato nelle vicinanze di Tel Aviv. L’obiettivo dell’operazione era la creazione di una zona cuscinetto che potesse prevenire le incursioni palestinesi in territorio israeliano. L’intervento del presidente americano Carter in seno all’Organizzazione delle Nazioni Unite portò all’approvazione della risoluzione n.425 del 1978 che stabilì il ritiro immediato di Israele e la creazione di una forza di interposizione (United Nations Interim Force in Lebanon, UNIFIL) lungo il confine libano-israeliano. La Siria temeva la progressiva diminuzione della sua influenza a causa della creazione di UNIFIL che aveva lo stesso scopo della FAD. Il ritiro delle truppe israeliane non fece cessare l’influenza di Tel Aviv nel sud del Libano, infatti una striscia di territorio al confine era controllata dalle milizie cristiane del Maggiore Saad Haddad, a cui Israele fornì armi ed equipaggiamenti.

Sul fronte interno libanese si consumavano le dispute tra la fazione di Bechir Gemayel e quella di Camille Chamoun. Il primo ebbe la meglio e si proclamò paladino della causa maronita e del Fronte libanese. Accanto alla posizione di Gemayel si generò un’altra questione legata alla presenza dell’OLP: il Movimento nazionale, membri del partito Ba‘ath filosiriano, gruppi sciiti ed alcuni oligarchi sunniti, tra cui Karamé ritenevano che Israele dovesse rimanere fuori dalla questione; dall’altra, in particolare maroniti e alcuni oligarchi sciiti, coloro che sostenevano che l’invasione israeliana fosse stata inevitabile conseguenza al perpetuarsi delle azioni dell’OLP e che non fosse Israele, ma la milizia di Arafat il nemico da combattere.

Israeli Defense Minister Ariel Sharon points to a map of Lebanon as he talks to the press about the objectives of the military operation “Peace For Galilee” June 11, 1982 in the Defense Ministry in Tel Aviv, Israel. © Ya’akov Sa’ar/GPO via Getty Images

Alla fine degli anni settanta la componente maronita si era rafforzata, quella sunnita aveva iniziato a perdere il suo potere causando lo sbandamento delle milizie, mentre dall’altro lato cresceva l’influenza sciita. In questa comunità da sempre ai margini della vita politica libanese nacque Hezbollah, che divenne presto un attore cruciale.
Lo sforzo della diplomazia regionale  portò alla Conferenza di Beiteddine nell’ottobre del 1978, un ulteriore tentativo di salvare quanto deciso a Riyadh nel 1976.

In questo incontro venne chiesto al governo di Beirut di riprendere il controllo del territorio, la ricostruzione dell’esercito libanese e la fine del potere delle milizie. Per favorire questa transizione truppe che componevano la FAD lasciarono il paese ad eccezione di quelle siriane. Truppe libanesi furono così impiegate nel Sud del paese, con l’obiettivo di consentire più libertà di azione all’UNIFIL verso la zona controllata dal maggiore Haddad. Quest’ultimo, sostenuto da Israele, dichiarò la zona da lui controllata Libano libero e cominciò ad attaccare l’esercito libanese e le forze dell’UNIFIL per difendere la sua posizione.

Il 1979 influenzò anche le vicende interne libanesi: due eventi regionali l’accordo israelo-egiziano a Camp David e la rivoluzione di Teheran modificarono le relazioni regionali e politiche nel paese. 
La Siria pur di mantenere un ruolo regionale mantenne le sue truppe nel paese, intensificando i contingenti nella zona della valle della Bekaa in maniera da ostacolare le azioni di Israele che si erano estese a tutto il territorio libanese. 

Lo stato ebraico continuava la sua lotta contro l’OLP e il 5 giugno 1982 invase di nuovo il sud del Libano con l’obiettivo di creare una zona libera dai palestinesi di 40 km in territorio libanese, il ritiro di tutte le forze siriane dal Libano, la distruzione del quartier generale dell’OLP a Beirut, l’espulsione delle forze dell’OLP dal paese, e la firma di un trattato di pace con un Libano sotto la guida dei cristiani maroniti.

L’offensiva che raggiunse Beirut portò ad uno scontro tra l’esercito siriano e israeliano, solamente l’intervento USA impose un cessate il fuoco. Durante l’operazione Pace in Galilea, Beirut fu sottoposta ad un assedio che aveva come scopo quello di eliminare ogni appartenente all’OLP, azione che era stata apprezzata dalla componente sciita. Il governo libanese tentò di trattare con i capi dell’OLP in Libano per preparare una evacuazione dal paese. L’esercito israeliano continuò la sua azione casa per casa finché il 13 agosto venne firmato un cessate il fuoco che prevedeva l’intervento di una forza internazionale a protezione dell’evacuazione palestinese. Il 25 agosto 800 marines americani sbarcarono a Beirut insieme alle forze francesi e italiane, dando vita a un contingente multinazionale che aveva il compito di proteggere l’evacuazione dell’OLP.

L’intervento USA e l’azione di Israele avevano favorito il partito di Gemayel che lanciò una politica di riconciliazione nazionale, ma il 14 settembre il presidente Gemayel fu assassinato, facendo così riprendere lo scontro interno.

Israele decise di lasciare la parte occidentale della città di Beirut alle forze falangiste. In un clima sempre più teso, e per vendicare l’assassinio del loro leader, le Forze libanesi, tra il 16 e il 18 settembre, con la complicità dell’esercito israeliano, uccisero tra i 500 e i 3.500 tra palestinesi e sciiti, che abitavano nei campi profughi di Sabra e Chatila alla periferia di Beirut. Il massacro venne duramente condannato dalle Nazioni Unite, che utilizzarono la definizione di “crimine di genocidio” nella risoluzione 37/123. Quest’azione costrinse le interposizione a tornare per calmare la situazione. Di lì a poco venne eletto presidente il fratello di Gemayel, il quale portò avanti una politica di dialogo e riconciliazione.

Il 1983 fu un anno caratterizzato da un susseguirsi di attentati dinamitardi nella città di Beirut. Il 18 aprile un attacco all’ambasciata americana causò 63 vittime, mentre nell’ottobre dello stesso anno un attacco di Hezbollah alla forza multinazionale causò la morte di 241 marines e 56 paracadutisti francesi.

Tra il 1984 e il 1988 vi furono tentativi volti a trovare una soluzione politica alla guerra civile e una ridefinizione delle relazioni siro-libanesi. Sul terreno continuava lo scontro tra la milizia sciita di Amal (sostenuta dalla Siria) e le forze palestinesi ricostituite. Damasco cercava di mantenere il controllo sul Libano accordandosi con i principali gruppi, mentre cresceva l’influenza di Hizballah. 

Le trattative raggiunsero un momento culmine quando nel 1988 il Libano si trovò con due governi: il presidente uscente, Amine Gemayel, nominò un governo costituito da cinque ministri militari (due cristiani e tre musulmani) sotto la direzione del generale Aoun. I tre ministri musulmani si rifiutarono di entrare in carica e, al tempo stesso, ciò che restava del Parlamento precedente, in carica fin dal 1972, si autoproclamò, sotto la leadership del primo ministro Salim el-Hoss la sola legittima autorità del Libano. Aoun iniziò una serie di campagne militari volte a stabilire la sua legittima autorità.
I combattimenti si protrassero per circa sei mesi, fino al cessate il fuoco del 23 settembre 1989. Fu in questo clima che il 22 ottobre del 1989 vennero firmati gli accordi di Ta’if che mettevano fine al lungo periodo di guerra civile. Gli accordi prevedevano, tra le altre cose, la modifica delle quote politiche previste per i musulmani dal Patto nazionale libanese; l’affermazione della sovranità libanese nel Libano meridionale, all’epoca occupato da Israele; la legittimazione della presenza siriana come garante della pace, limitata tuttavia a un periodo di due anni (ritiro che avvenne effettivamente solo nel 2005), e il disarmo di tutte le milizie (con l’eccezione di Hezbollah, perché considerato un legittimo movimento di resistenza all’occupazione israeliana nel sud del paese).


Per approfondire:

Rosita Di Pieri, Il Libano Contemporaneo, Roma, Carocci, 2009