Molte sono le trappole che il lungometraggio di Edoardo Ponti deve evitare per stare dentro i canoni di un buon cinema, che accontenti il pubblico delle grandi occasioni facendo una strizzata d’occhio a chi ama quelle sale d’essai che prima del Covid, cioè prima si chiudesse tutto, erano sempre già di per sé semivuote.  La prima è la trappola dell’ebraismo, delle persecuzioni razziali, della shoah, perché la protagonista c’entra qualcosa con questa storia del Novecento che tutti conoscono; la seconda è quella dell’integrazione sociale e razziale che farebbe gridare una certa destra stucchevole e ammorbante alla parola buonismo, e solo parzialmente a torto. Teniamo presente che alla base di tutto c’è un romanzo francese, peraltro già portato sullo schermo nei ’70s, con Simone Signoret protagonista, un’attrice a dir poco maiuscola per la storia del cinema di Francia.

Quest’opera si è però asservita al ritorno sullo schermo della più grande diva italiana del Novecento, e dunque va concepita per quello che è. Non è vero, come hanno scritto, detto, forse pensato in molti che La vita davanti a sé non va da nessuna parte con le gambe proprie e conta solo per Sophia Loren. Non è vero neanche che una sceneggiatura apparentemente così debole non serva a mantenere il film su un suo statico equilibrio. È vero invece che è lei l’attrazione, lei l’ispirazione, lei il magnete. Come lo sarebbe stata cinquant’anni fa. Quanto dura una lunga vita, una strepitosa carriera? Dura il tempo della memoria, de La ciociara, di Ieri, oggi, domani, di Arabesque, di El Cid, de La contessa di Hong Kong; di Gregory Peck, Marlon Brando, Charlton Heston: nomi scritti sulla pergamena dell’Olimpo che rinascevano affianco a quel volto. Per chi è pronto a fare i conti con la versione più anziana della memoria stessa, quella più prossima alla morte, questa produzione di Netflix sarà il biglietto di sola andata per quello che è forse un grande commiato, un exit memorabile di cui terremo memoria a lungo. Il ticket che una giovane generazione pagherà per guardare negli occhi un monumento vivente. Per pagarlo dovrà rammentare che la Signora più donna d’ Italia, rimessasi in gioco alla sua età, è la stessa che ballava You wanna be americano e si prendeva gioco di Clark Gable in It started in Naples, ma anche colei che omaggia oggi il suo passato in questo film con una scena che ricorda molto da vicino uno dei film più amati nella storia d’Italia, Una giornata particolare di Ettore Scola.

Sophia Loren e Clarck Gable in “It started in Naples” (1960)

Piacerà questo lungometraggio a chi apprezza il cinema di Ozon o di Gianni Amelio, e una lentezza che è tempo morto della vita: non speculazione intellettuale. Un lento che si fa strada da sé a passi brevi, senza la necessità di alzare la voce, spezzato dai cambi di marcia di Donna So(ph)fia, che congedandosi – forse – dalle scene omaggia il suo paese, lo bacia, lo coccola.

Rimane aperto un interrogativo: perché un film con tre interpreti principali campani è stato ambientato a Bari?