Sindacalcio” è il nuovo approfondimento di Olympia sull’evoluzione del professionismo nel calcio. Dall’Inghilterra della seconda metà dell’Ottocento, dove il dilettantismo era un privilegio dell’aristocrazia londinese e gli operai reclamavano uno stipendio per potersi dedicare al calcio, fino ai giorni nostri, in cui campioni affermati ricevono lauti ingaggi spesso concordati solo al termine di estenuanti trattative, arrivando da qualche anno persino a scindere le prestazioni sportive dai diritti di immagine. Non da meno è la questione sudamericana dove, ancora oggi, la proprietà dei cartellini non appartiene solo alla squadra di militanza, ma a fondi di investimento e ai calciatori stessi.
Ma come si è arrivati a questo? Nel 25° anniversario dalla Sentenza Bosman – il più importante passo in avanti della storia moderna sulla regolamentazione contrattuale dei giocatori – la redazione di Olympia cerca di analizzare e comprendere i cambiamenti avvenuti negli anni.

Nel Sud America degli anni Settanta, mentre il mondo occidentale pareva in procinto di sovvertire ogni ordine, la politica era decisamente restìa al cambiamento. L’Operazione Condor non aveva ancora avuto inizio, ma il terreno era già fecondo per creare un fronte unito contro la minaccia comunista.

Nel 1964, quando il presidente brasiliano Goulart approvò lo Statuto del Lavoratore Rurale, garantendo agli agricoltori diritti come il riposo settimanale e il pagamento degli straordinari, le opposizioni conservatrici reagirono duramente. Il presidente, poi, oltrepassò il limite cercando di nazionalizzare le compagni petrolifere: un tentativo disperato di recuperare un’economia sull’orlo del default. Le multinazionali dell’oro nero, però, non la presero bene.

Militari brasiliani in marcia verso Rio de Janeiro il 31 marzo 1964, giorno del colpo di stato che mise fine alla presidenza di Joao Goulart. – © AP Photo

Il 31 marzo di quello stesso anno l’esercito brasiliano, con il sostegno del governo statunitense (in un’operazione denominata “Brother Sam“), destituì il presidente Goulart e diede il via a oltre vent’anni di dittatura militare, caratterizzati dalla censura e da una violenta repressione. Agricoltori, studenti, giornalisti, artisti, nessuno sfuggiva al controllo del DOPS, il Dipartimento dell’Ordine Pubblico e Sociale.

Il fútbol sotto la dittatura

Per affinità politica, paura o convenienza, furono in molti ad appoggiare il nuovo corso. I cartolas (letteralmente “cappelli a cilindro”), ovvero i dirigenti e gli alti funzionari dei club di calcio, spesso sfruttavano la loro posizione di prestigio nel mondo del futebol per lanciarsi in politica. Naturalmente a discapito dei calciatori, al tempo una delle categorie di lavoratori più sfruttate.

Il modello standard dei contratti dei calciatori, rimasto immutato fino al 1968, risaliva  addirittura al tempo ad un altro regime, quello di Getùlio Vargas terminato nel 1945. Il club non solo era proprietario del cartellino – detto passe – di un giocatore, ma non garantiva uno stipendio regolare al calciatore, che viveva principalmente dei bichos – i premi partita – che in caso di pareggio o sconfitta non venivano elargiti.

Getùlio Vargas, ex Presidente del Brasile. – © Hulton Archive / Getty Images

Per di più, alla scadenza di un contratto, il trasferimento era possibile solamente nel caso in cui ci fosse stata la volontà di acquisto da parte di un altro club, e sempre dietro un indennizzo, che per altro poteva essere anche rifiutato. In pratica, alla scadenza del contratto, la carriera di un calciatore non particolarmente dotato tecnicamente o che non poteva garantire un adeguato ritorno economico al proprio club, era di fatto terminata. Come ricorda Zé Maria, il Super Zé della Seleção degli anni ’70 e della Democrazia Corinthiana:

Un gruppo dirigente mal intenzionato poteva mantenere un giocatore fermo fino a quando fosse caduto nel dimenticatoio

Zé Maria

Un altro idolo del Timão, il primatista di presenze Wladimir, arrivò addirittura a definirla una legge schiavista. Ma nessuno fece nulla, almeno fino a quando non arrivò Afonsinho.

Un allenamento della Seleçao in vista dei Mondiali di Messico '70
Un allenamento della Seleção in vista dei Mondiali di Messico ’70. – © UOL Esporte

La Seleção verso Messico ’70

Ai Mondiali in Messico, il Brasile si presentò con dodici vittorie in dodici partite nella fase di qualificazione. Ed un allenatore, Joao Saldanha, capace di trovare uno schema che amalgamasse tutti i fuoriclasse presenti nella rosa verdeoro. Le simpatie socialiste del tecnico però non andavano a genio alla dirigenza militare, che decise così di esonerarlo appena prima della manifestazione planetaria. In risposta al dittatore Emílio Garrastazu Médici, che gli consigliava la formazione, il commissario tecnico aveva dichiarato:

Chi sceglie i giocatori sono io, quando il presidente scelse i suoi ministri non chiese la mia opinione.

João Saldanha

La panchina venne affidata a Mário Zagallo, decisamente più filo-governativo. Con l’arrivo di Zagallo sulla panchina della Seleção diversi giocatori vennero esclusi dalla formazione che batté poi l’Italia allo stadio Azteca di Città del Messico, aggiudicandosi la Coppa Rimet. Tra questi c’era il centrocampista Afonso Celso Garcia Reis, o semplicemente Afonsinho, uno dei giocatori migliori della sua generazione, come cantava anche Gilberto Gil in “Meio de Campo“.

Meio de Campo, di Gilberto Gil.

Afonsinho e la battaglia per il passe

Il ragazzo nato a Marília approdò al Botafogo nel 1965 e in quattro anni vinse diversi titoli, diventando capitano della Estrela Solitária, mentre nel frattempo preparava gli esami della facoltà di psichiatria. A 23 anni era una promessa vicina alla consacrazione, ma tifosi e dirigenti bianconeri faticavano a digerire il suo impegno sindacale e il suo look da rockstar. E quando fu ufficiale la sua esclusione dai 23 che avrebbero partecipato ai Mondiali messicani, i cartolas del Botafogo colsero la palla al balzo: un barbudo non avrebbe mai più giocato nel loro club. Afonsinho venne mandato in prestito all’Olaria, un altro club carioca, e al suo ritorno al Botafogo trovò i cancelli irrimediabilmente chiusi.

Non solo gli venne vietato di giocare, ma anche di entrare all’interno delle strutture societarie. Di soldi, naturalmente, neanche a parlarne. Nei mesi successivi, appena usciva dalla facoltà di medicina, si recava allo stadio e si allenava, da solo, in un piazzale poco distante. Vedendosi ormai preclusa la possibilità di partecipare a qualsiasi attività del Botafogo, Afonsinho voleva almeno essere libero di trasferirsi, ma quando gli fu chiaro che nulla sarebbe cambiato si consultò con il padre, un ex ferroviere divenuto poi avvocato, e decise di far causa al club.

Il DOPS si interessò al caso del ragazzo, al quale, per la verità, sarebbe bastato tagliare barba e capelli per farla finita e tornare sul campo. Ad Afonsinho, calciatore impegnato e studente politicamente attivo contro la dittatura militare, fu addirittura proposto di aderire alla guerriglia, ma lui rifiutò. Gli vennero fatte offerte importanti, ma ormai era diventata una battaglia per l’istituzione di un diritto, una questione di principio.

Un estratto del documentario “Passe livre” (1974), diretto da Oswaldo Caldeira.

La causa venne rigettata in primo grado, ma il ricorso del giocatore, nonostante le ingerenze governative, venne accolto nel 1971. Afonsinho divenne così il primo calciatore brasiliano proprietario di se stesso. Non poté più vestire la maglia verdeoro del regime ma riprese a giocare, prima con la maglia del Vasco da Gama, poi con quelle del Santos di Pelé, del Flamengo, dell’América Mineiro e della Fluminense, dove chiuse la carriera nel 1981.

Si deve proprio a O Reiche da giocatore venne trattenuto al Santos contro la sua volontà, l’abolizione molti anni dopo dei passe. Con la controversa legge 9615 (detta anche “Legge Pelé“), che porta proprio il nome del fuoriclasse che nel 1995 venne nominato Ministro Straordinario per lo Sport. Fu il suo unico provvedimento prima di dimettersi.

Un uomo libero

Il ragazzo di Marília, pur non essendosi laureato Campione del Mondo nel 1970, deliziò i tifosi del Santos giocando insieme alla Perla Nera, e forse dimostrando quello che Gilberto Gil cantava, cioè che se Tostão era più forte di Pelé, prima di loro c’era il prezado amigo Afonsinho. Proprio il Re del calcio, che come tutti si sottomise ai cartolas di regime, ammise con amarezza:

Di uomini liberi ne conosco solo uno, in questo paese. È Afonsinho. Il resto, sono solo chiacchiere.

Pelé
Afonso Celso Garcia Reis, meglio conosciuto come Afonsinho. – © Christophe Simon / AFP / Getty Images