Dopo l’emanazione della costituzione libanese del 1926, iniziò all’interno della comunità sunnita un’intesa discussione sul carattere del nuovo stato: aderire al progetto panarabo con conseguente annessione alla Siria, o optare per uno stato  libanese basato sull’intraprendenza locale e sulla collaborazione con i maroniti. Fu palese che i vantaggi dalla collaborazione con i maroniti sarebbero stati superiori a quelli che avrebbero potuto ottenere come provincia siriana. 

Bandiera del Grande Libano – Wikipedia

Ma la diatriba all’interno della comunità sunnita non si esaurì immediatamente, vennero convocate numerose conferenze, chiamate della costa. Il dissenso sunnita ebbe come portavoce ‘Abd al-Hamid Karamé di Tripoli, fortemente vicino alle posizioni panarabe. Tali sentimenti erano supportati dagli storici rapporti commerciali e politici di Tripoli con la Siria, e dal contrasto con Beirut. 

Anche il campo maronita aveva le sue beghe legate alle proposte  di poter realizzare uno stato arabo-cristiano nella regione (Piccolo Libano) o cercare un modello di compromesso con le comunità musulmane (Constitutional Bloc)
Nel 1932 la comunità sunnita, sicura di aver la maggioranza della popolazione e propose  un censimento della popolazione per poi dividere in proporzione le cariche con le altre comunità e procedere con le elezioni

Il censimento dimostrò che le comunità cristiane erano ancora le più numerose, ciononostante le potenze mandatarie decisero di sospendere le elezioni e cancellare la costituzione. 

In questo periodo venne definito più chiaramente il ruolo delle comunità nel territorio libanese attraverso l’emanazione di decreti che regolano ancora oggi i rapporti inter comunitari. 

Le comunità furono divise in due categorie ben distinte: le comunità di statuto personale e le comunità di diritto comune. Le prime rientravano nella definizione di comunità storica ed erano cristiana, musulmana ed ebraica; le comunità di diritto comune furono un’invenzione della potenza mandataria (la Francia): si tratta di comunità non inquadrabili all’interno di dottrine religiose esistenti;  veniva data la possibilità, a coloro che decidevano di abbandonare la loro comunità, di crearsi una comunità autonoma che, davanti alla legge, avesse gli stessi diritti e doveri delle altre comunità. Tale legislazione concedeva di passare da una comunità all’altra. 

Nonostante le divergenze all’interno della comunità maronita e le continue interferenze francesi, gli anni trenta del secolo scorso furono determinanti per la costituzione di un Grande Libano indipendente. Tali aspirazioni costituirono basi molto solide per la ricerca e la richiesta dell’indipendenza. La Costituzione libanese fu reintrodotta stabilmente nel 1936, anno in cui venne anche firmato il Trattato di amicizia e di alleanza franco-libanese, ma venne sospesa con l’inizio della Seconda Guerra Mondiale. 

L’anno cruciale per il Libano fu il 1943, quando le varie comunità si unirono per allontanare i francesi, ma fu solo il 31 maggio 1945 che cesso ufficialmente il mandato di Parigi; soltanto in un secondo momento il 22 novembre 1943 divenne la data ufficiale di indipendenza.

©pixabay Bandiera della Repubblica del Libano

Al raggiungimento dell’indipendenza dalla Francia, i gruppi che più avevano spinto in questa direzione, il “Constitutional Bloc” e i notabili sunniti, misero in piedi un accordo non scritto, ricordato con il nome di Patto nazionale.

Il Patto nazionale riprendeva la suddivisione della  Costituzione del 1926, delineando un sistema di potere che si basava sulla rappresentatività delle comunità secondo un rapporto di 6 a 5 a favore dei cristiani: al gruppo cristiano maronita (all’epoca la comunità più numerosa) spettava la presidenza della Repubblica; ai musulmani sunniti (la seconda comunità) la presidenza del Consiglio.
Il Paese venne diviso in circoscrizioni miste per favorire e promuovere l’integrazione tra comunità e i poteri vennero divisi equamente in seno alle istituzioni statali.

Il Libano venne caratterizzato al suo interno da strutture sociali, storiche e culturali attinenti alla comunità cristiana poste in un contesto arabo. Alla base di questo compromesso si trovava l’identità libanese vista come la patria comune di tutti i libanesi, senza distinzione di comunità, di credenze o di religioni.

I primi decenni di vita del nuovo stato libanese, basati sul patto nazionale, videro la figura centrale del presidente della repubblica quale ago della bilancia. Il paese, fragile dal punto di vista economico e finanziario, ma risoluto in politica estera, fu tra i sostenitori degli stati arabi nel 1948 contro Israele, ciò causò, alla firma dell’armistizio, un flusso di profughi palestinesi che vennero insediati in campi profughi nel sud del Paese. 

1948.Profughi palestinesi © wikicommons.

A livello politico, il patto nazionale iniziava a palesare i segni della discordia, polarizzando le posizioni estreme e portando il sistema a pratiche di corruzione e favoritismi, il tutto caratterizzato da uno scarso impegno nelle politiche di riduzione del confessionalismo
Nello scontro USA URSS, il Libano divenne satellite del blocco occidentale. Negli anni tra il 1952 e il 1958, presidenza Camille Chamoun, il paese fu investito da una crescita economica che però non fu supportata da  riforme economico-finanziarie. 
L’apertura al mercato, le nuove leggi sul segreto bancario, che incrementarono il flusso di capitali, le rimesse degli immigrati e la disponibilità di manodopera a buon mercato, consentirono al Libano di essere soprannominato la Svizzera del Medio Oriente. 

Nella crisi di Suez si schierò con il blocco occidentale contro la nazionalizzazione di Nasser, attirandosi le ire del mondo arabo. Questo clima di tensione provocò delle rivolte interne, chiamate rivolte dei pascià, che una volta sedate lasciarono il paese diviso. 
Il periodo più florido per il paese fu sotto la presidenza di Fouad Chehab (1958-1964) che riuscì a raggiungere ottimi traguardi, soprattutto sul versante economico, ma non fu in grado di preservarli e di tradurli in risultati di lungo periodo.

Il tentativo di un colpo di stato a fine del 1961  comportò l’impiego massiccio dell’esercito nel controllo del territorio, tanto che il presidente attuò una riforma ordinativa riunendo le Forze interne di sicurezza, le Forze generali di sicurezza e l’esercito sotto la guida e il comando del Deuxième Bureau che si configurò come un organo di controllo e di intimidazione, sempre più coinvolto nella vita politica.
Vennero emanate  leggi che avrebbero dovuto combattere  corruzione, nepotismo, concussione etc.attraverso dossier elaborati all’insaputa dei malcapitati senza alcuna garanzia di oggettività e indipendenza del giudizio. Tali politiche aumentarono il malcontento interno. 

Nel 1966 si verificò una crisi economica causata dal fallimento della principale banca libanese l’Intra. Il crollo dell’istituto bancario avvenne in un clima economico caratterizzato da profondi cambiamenti e condizionò i rapporti tra la comunità libanese e quella palestinese che perse la speranza di integrazione. Il resto lo fece la guerra arabo-palestinese dell’anno successivo, dove il Libano accusò il colpo e vide aumentare il numero dei profughi palestinesi, soprattutto a sud. 

Prima pagina La Stampa 30 dicembre 1968. © La Stampa

L’aumento dei palestinesi (sunniti) iniziò a creare problemi per la stabilità del paese. Negli anni ‘50, il loro numero era cresciuto fino a circa 100.000, stabiliti soprattutto a sud, dove iniziarono a simpatizzare con gli sciiti libanesi. Questo sodalizio accentuò la tendenza libanese al pan arabismo. Nel 1964  si formò una organizzazione militare palestinese che iniziò a effettuare incursioni in territorio israeliano, che assunse il nome di Palestine Liberation Organization (OLP). La reazione israeliana si fece sentire il 28 dicembre 1968 mediante un bombardamento.

Questa azione da un lato compattò i libanesi, dall’altro fece comprendere ai maroniti delle problematiche legate alla presenza di gruppi armati sul territorio.
I campi palestinesi vennero sottoposti a controlli serrati, soprattutto da parte del Deuxième Bureau. Questa situazione portò ad una rivolta armata  palestinese, nelle città di Sidone e Beirut, nella primavera del 1969.

Per porre rimedio alla situazione, intervenne l’Egitto e il 3 novembre del 1969 vennero siglati gli accordi del Cairo che autorizzarono la presenza armata dei palestinesi in Libano, con la possibilità per questi ultimi di utilizzare il Sud del paese per lanciare attacchi contro lo Stato di Israele. Questi accordi, inoltre, prevedevano relazioni di cooperazione tra milizie palestinesi e esercito libanese. 

Confessionalismo Libanese – Invicta Palestina

Gli anni settanta si aprivano per il libano all’insegna di insidie e difficoltà. All’interno del paese dilagava il clientelismo politico dettato dalla divisione confessionale; le nuove elezioni portarono alla presidenza della repubblica Sulayman Farangiyye che intraprese una politica all’insegna del cambiamento coinvolgendo nei ministeri molti giovani ed adottando le parole d’ordine di rivoluzione dall’alto e un solo Libano, non due.
Propose una politica di ripristino della legalità, arrestando attivisti politici e smantellando il Deuxième Bureau. 

Il deteriorarsi del quadro economico, l’acuirsi delle tensioni sociali, la nascita delle milizie comunitarie, la passività dell’esercito e, infine, la presenza palestinese furono gli elementi interni che più concorsero ad esacerbare il conflitto fra le parti mettendo in evidenza le falle nel sistema libanese.
In questa situazione occorre ricordare l’ascesa della comunità sciita. Lontana dalla gestione del potere, cominciò ad essere attratta da modelli non confessionali (socialismo e comunismo), proponendo una visione laica e non settario-confessionale dell’azione politica. Gli sciiti comportarono un ulteriore mutamento al fragile equilibrio, contribuendo ad alimentare le spaccature nella società libanese.

Alla vigilia del 1975 due tipologie di contestazioni erano in atto: una a carattere musulmano dove si lamentava la scarsa democraticità del sistema, a causa della sotto-rappresentazione confessionale delle comunità islamiche; la seconda, prevalentemente cristiana, che si poneva su linee conservatrici sostenendo che il sistema stava diventando troppo conciliante verso le varie anime comunitarie del Libano.
Lo scontro interno tra le varie fazioni provocò la progressiva diffusione di gruppi armati e milizie all’interno delle comunità, preparando il terreno per la guerra civile.