Sindacalcio” è l’approfondimento di Olympia sull’evoluzione del professionismo nel calcio. Dall’Inghilterra della seconda metà dell’Ottocento, dove il dilettantismo era un privilegio dell’aristocrazia londinese e gli operai reclamavano uno stipendio per potersi dedicare al calcio, fino ai giorni nostri, in cui campioni affermati ricevono lauti ingaggi spesso concordati solo al termine di estenuanti trattative, arrivando da qualche anno persino a scindere le prestazioni sportive dai diritti di immagine. Non da meno è la questione sudamericana dove, ancora oggi, la proprietà dei cartellini non appartiene solo alla squadra di militanza, ma a fondi di investimento e ai calciatori stessi.
Ma come si è arrivati a questo? Nel 25° anniversario dalla Sentenza Bosman – il più importante passo in avanti della storia moderna sulla regolamentazione contrattuale dei giocatori – la redazione di Olympia cerca di analizzare e comprendere i cambiamenti avvenuti negli anni.

Le grandi conquiste sono spesso precedute da grandi battaglie. Lottare per un diritto, un’idea, vuol dire andare contro una maggioranza che ha istituito o che vuole preservare la convenzione che stiamo combattendo. E capita, non di rado, che la resistenza ai cambiamenti prenda la propria forza non da una visione opposta o da un’analisi oggettiva, ma proprio dalla paura del cambiamento.

Il percorso che lungo la strada ci ha lasciato importanti conquiste civili è costellato da piccole e grandi battaglie che, passo dopo passo, hanno permesso di costruire una società più etica e quanto più inclusiva possibile. Una di queste battaglie, forse tra le più grandi in ambito calcistico, fu quella combattuta dal calciatore belga Jean-Marc Bosman, che con la sua vittoria stravolse e cambiò per sempre il mondo del calcio. Anche se non tutto è andato come poteva augurarsi.

Bosman, promessa del calcio belga

Nato a Liegi nel ’64, diventato professionista appena diciassettenne, dopo aver firmato il suo primo contratto con lo Standard Liegi, Jean-Marc Bosman era un centrocampista tra i più promettenti della sua generazione.

L’Europa (e il calcio) di allora però non erano simili agli odierni, le regole sui trasferimenti e sui tesseramenti erano stringenti, i club erano formati da giocatori comunitari, quasi sempre connazionali.

Jean-Marc Bosman – © Pinterest

Di conseguenza in un Paese privo di una grande tradizione calcistica, come il Belgio di fine anni ’80, il livello poteva restare abbastanza basso. Insomma, nonostante avesse fatto tutta la trafila nelle nazionali giovanili e indossato la fascia di capitano dell’under-21 belga, probabilmente nessuno ha mai considerato Jean-Marc Bosman un fuoriclasse.

Forse neanche il RFC Liegi, che nel 1988 lo acquistò per circa 75mila euro facendogli firmare un biennale. In due anni giocò con discreta regolarità, contribuendo anche alla vittoria della Coppa del Belgio nel 1990. Il punto forse più alto della carriera di Bosman, che due mesi dopo andò in scadenza di contratto. Il Liegi gli offrì un rinnovo con lo stipendio ridotto del 75%. Bosman ovviamente rifiutò, accordandosi invece con i francesi dell’USL Dunkerque.

L’esclusione dalla rosa e l’inizio del processo

Qui iniziarono i problemi del giocatore, che in realtà erano comuni a tanti altri suoi colleghi. All’epoca un club aveva diritto, secondo quanto stabilito dalle norme UEFA, a chiedere alla squadra acquirente una commissione che veniva intesa come una sorta di compensazione per le spese di formazione e/o sviluppo di un giocatore. Una norma che era una terribile arma nelle mani dei club, che potevano letteralmente interrompere discrezionalmente la carriera di un calciatore.

Nel caso di Bosman, il Liegi chiese al Dunkerque circa 300mila euro, una cifra a dir poco spropositata sotto ogni punto di vista. Non è chiaro se furono i francesi a tirarsi indietro o il Liegi a bloccare il trasferimento con l’aiuto della federazione belga, in ogni caso Bosman si ritrovò fuori squadra.

Bosman con la maglia del RFC Liegi – © Pinterest

Anche a causa delle regole in quel momento presenti nel campionato belga, che permettevano a un club di sospendere un giocatore quando entrambe le parti non concordavano sul nuovo contratto.

Ma a differenza della quasi totalità dei suoi colleghi Bosman reagì duramente, rivolgendosi direttamente alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Il giocatore mosse causa prima contro il suo club e contro la federazione belga, estendendo poi le accuse anche alla UEFA, in quanto responsabile della stesura e della supervisione delle regole del sistema di trasferimento.

Le richieste di Bosman

In particolare alla Corte venne chiesto di chiarire la compatibilità del sistema di trasferimento UEFA con le disposizioni del Trattato di istituzione della CEE «riguardanti la libera circolazione dei lavoratori (articolo 48) e le regole di concorrenza (articoli 85 e 86)».

Mi ha stupito che per firmare un nuovo contratto fossi diventato quattro volte meno bravo, ma che per essere venduto il Liegi voleva 300mila euro, mentre mi avevano comprato a 75mila. Così sono andato a parlare con un avvocato. Tutti credevano che la questione sarebbe stata risolta entro due settimane.

Jean-Marc Bosman

A questo si aggiunse la discussione sulla norma UEFA riguardanti le clausole sulla nazionalità, che limitavano il numero di giocatori stranieri che potevano essere schierati in campo (anche se le federazioni nazionali avevano facoltà di gestire questa norma in modi differenti). Questi limiti erano stati posti dall’UEFA anche per provare a tenere sotto controllo il divario tra le squadre, che erano “costrette” a puntare sui vivai nazionali.

Le immagini del processo.

Questa parte del processo in realtà veniva da lontano, con la Corte che si era già pronunciata nei casi Walrave/UCL del 1973 e Dòna/Mantéro del 1976, stabilendo che in ambito sportivo solo le squadre nazionali potevano giustificare le clausole sulla nazionalità. La UEFA fece orecchie da mercante, e recepì queste due sentenze solo tra il 1989 e il 1990, in seguito a una relazione e a un “fermo invito” da parte del Parlamento Europeo.

Una lenta conquista

Il primo passo significativo arrivò con il gentlemen’s agreement del 1991, con il quale la UEFA, oltre a impegnarsi a far applicare la nuova norma sulle nazionalità (il cosidetto 3+2) a tutte le federazioni aderenti, permise ai giocatori di poter giocare con una nuova società anche in caso di controversie sul trasferimento.

Questa novità avrebbe potuto, teoricamente, consentire a Bosman di tornare a giocare, ma nella realtà nessun club europeo era interessato all’acquisto del giocatore che stava tentando di distruggere una consistente parte del sistema calcistico.

Jean-Marc Bosman© Pinterest

Durante tutta la durata del processo Bosman riuscì a giocare con un paio di squadre di serie minori in Francia e in Belgio, con una breve parentesi al Club Sportif Saint-Denis, squadra dell’Île de la Réunion. Praticamente la carriera sportiva di Jean-Marc Bosman era finita il giorno nel quale aveva deciso di entrare nello studio del suo avvocato.

La “sentenza Bosman”

La battaglia legale di Bosman, alla quale si erano aggiunti volontariamente i sindacati dei giocatori francese (UNFP) e olandese (VVCS), andò avanti per cinque anni e vide la sua conclusione con la sentenza emessa il 15 dicembre 1995.

La Corte equiparò i calciatori a ogni altro tipo di lavoratori, giudicando inammissibili le limitazioni della UEFA e delle sue federazioni in merito alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione, pur concordando, stando alle parole dell’avvocato generale Lenz, «con l’obiettivo perseguito dall’UEFA e riconoscendo che i piccoli club dovrebbero essere sostenuti per mantenere un equilibrio sportivo/economico fra le società, cosa ritenuta indispensabile per conservare l’attrattiva del calcio fra gli spettatori».

I giocatori del XXI secolo avranno il diritto di circolare come gli altri lavoratori e non verranno trattati come cavalli, galline o mucche.

Jean-MArc Bosman

L’avvocato aggiunse anche che «la ripartizione delle entrate (provenienti dalla vendita dei biglietti e/o dalla cessione dei diritti di trasmissione) sarebbe uno strumento meno restrittivo e più efficace per raggiungere tale obiettivo».

Una sentenza storica, che ha permesso ai giocatori di potersi svincolare alla scadenza del contratto e ai club europei di poter ingaggiare tutti i cittadini dell’Unione Europea che desiderano. Ma questa rivoluzione, che da quel giorno divenne conosciuta come “sentenza Bosman”, ebbe conseguenze inaspettate, soprattutto sulla vita del ragazzo di Liegi.

Il prezzo della vittoria

Nel 1996 Jean-Marc Bosman, ormai pallido ricordo di un calciatore, concluse la sua carriera a Visé, nella quarta divisione belga, in un club dilettantistico «dove il presidente ti dà la busta a fine partita». Dopo aver definitivamente abbandonato il professionismo partecipò a un documentario di Canal+ e fece per un po’ apparizioni televisive e a eventi sportivi.

Avevo 26 anni, il culmine della carriera di un calciatore. Come dico sempre, avrei preferito che l’avesse fatto un altro al posto mio.

Jean-Marc Bosman

Riuscì a vivere bene per un po’, ma senza un reddito fisso (e totalmente estromesso dal mondo del calcio) si trovò costretto ad accelerare gli accordi di risarcimento per chiudere il conflitto legale. Nel 1998 Bosman ottenne una cifra che si aggirava intorno ai 500mila euro, comprendente anche le spese legali.

Michel PreudHomme, uno dei più forti portieri di sempre – © Pinterest

Da quel momento in poi, la vita del ragazzo belga divenne una lunga discesa nel baratro, dove lo aspettavano un divorzio, depressione, alcolismo, una condanna per violenza domestica.

L’ unico ad essermi stato vicino quando avevo toccato il fondo e vivevo nel garage dei miei genitori è stato Michel Preud’Homme. I soli giocatori che dopo la sentenza si sono ricordati di me sono quelli della nazionale olandese: mi hanno invitato in ritiro, mi hanno fatto una festicciola, mi hanno consegnato ciascuno una busta con 2500 euro dicendomi “quello che facciamo è ben poco rispetto a quello che tu hai fatto per i calciatori”. Delle parole che mi sarebbe piaciuto sentire da tanti altri, da tutti quelli che hanno parlato di me come se avessero combattuto e sofferto al mio fianco e che non ho mai visto.”

Jean-Marc Bosman

La delusione di Bosman per l’essere stato abbandonato dai suoi colleghi è stata difficile da superare. Venne organizzata una partita in suo onore, anche per raccogliere fondi per consentirgli di riprendere in mano la sua vita. Decine e decine le adesioni “verbali”, ma alla fine si faticò a trovare ventidue giocatori.

Mi hanno utilizzato come una reclame, sventolato come una bandiera e poi sono spariti. Vialli, Maradona, Cantona, i grandi giocatori e i responsabili sindacali europei li ho visti e sentiti spesso nei mesi successivi alla sentenza, ma da allora il telefono non squilla più.

Jean-Marc Bosman

Le conseguenze della sentenza Bosman sul calcio europeo

La sentenza Bosman venne introdotta in Italia con la legge 586 del 1996, grazie alla quale i club poterono distribuire ai soci l’utile destinato al «perseguimento esclusivo dell’attività sportiva», rendendo le società calcistiche di fatto delle aziende.

Più in generale gli effetti sulle dinamiche del calcio ebbero una portata enorme. La possibilità di potersi muovere liberamente alla scadenza del contratto fece incrementare in modo esponenziale il potere d’acquisto dei calciatori (e l’importanza dei mediatori nelle trattative), dato che per poter trattenere un giocatore le società si trovarono costretti a offrire ingaggi maggiori, spalmandoli su contratti più lunghi.

Messi, Ronaldo, Neymar: i tre giocatori più pagati al mondo guadagnano, tra ingaggio lordo e bonus, oltre 300 milioni di €. – © Goal.com

Inoltre la possibilità di ingaggiare giocatori comunitari ha stroncato molti vivai nazionali e ha fatto impennare la percentuale di giocatori stranieri nei campionati, con vette che superano abbondantemente il 60%. Qualsiasi tentativo di contrastare questa tendenza oggi sembra, paradossalmente, un tentativo di limitare il libero mercato. E con l’arrivo dei diritti d’immagine nei contratti la situazione è peggiorata.

È un paradosso. La Bosman è nata per ridistribuire le ricchezze a tutti, specialmente ai più poveri, ma ora il guadagno è nelle mani di pochi. Era una legge positiva, nata per regalare felicità e diritti ai calciatori, ma se ne è fatto un uso distorto. […] Purtroppo il calcio non è in salute, i giocatori guadagnano cifre astronomiche, i contratti non vengono rispettati. E spesso dietro ci sono società private, le cosiddette terze parti, che acquistano giocatori in mano ai manager. In qualche modo così si blocca la libera circolazione. A volte i giocatori sono ostaggi della burocrazia, a volte non sono pagati, è in questi casi che la FIFPro, il sindacato mondiale dei calciatori, deve intervenire per fare valere i contratti professionistici dei giocatori. Il calcio è diventato solo business.

Jean-Marc Bosman

Pare che fino a qualche anno fa Bosman chiedesse ai giornalisti che gli chiedevano un’intervista un’offerta per le spese del viaggio, ma ora è tornato a ricevere un piccolo reddito di circa 500€ al mese e collabora saltuariamente con la Fifpro.

Jean-Marc Bosman in tempi recenti

Ma a discapito di quanto si possa pensare, Jean-Marc è riuscito a trovare una sua serenità. Può guardarsi indietro con la certezza non volere cambiare «una virgola di ciò che ho fatto. Non mi fa più male nulla ormai. Mi dispiace che le nuove generazioni non conoscano la legge Bosman e non sappiano della battaglia che ho portato avanti a nome di tutti i calciatori. Bisognerebbe ricordarla di più sui giornali e sulle televisioni».